Perchè mi sta salendo quest'ansia, sul cosa mettermi questa sera per uscire con te [Molly]?
Caspiterina continuo a rovistare nell'armadio, senza sosta, come se potessero apparire nuovi abiti, come se non ce ne fossero già abbastanza.
Jeans? Nah, mi si vedrebbero troppo le gambe grosse, maglietta scollata e leggins? Nah, troppo indecente, Vestitino bianco? Nero, blu, leopardato?
Penso al trucco, penso ai capelli che neanche dopo il taglio e piega dal parrucchiere stanno apposto, penso alle unghie, se colorarle o meno, penso che mi sto facendo un sacco di paranoie, perchè mi hai visto struccata e in pigiama e non ti sei messo a ridere, anzi .
Ore 23.30 Lunedì
"I want to love you, but I better not touch (Don't touch)
I want to hold you but my senses tell me to stop
I want to kiss you but I want it too much (Too much)
I want to taste you but your lips are venomous poison
I hear you calling and it's needles and pins (And pins)
I want to hurt you just to hear you screaming my name
Don't want to touch you but you're under my skin (Deep in)
I want to kiss you but your lips are venomous poison
You're poison runnin'thru my veins..."
Poison - Alice Cooper
Mi stendo sul divano, dove finalmente posso riposare le mie membra.
La serata è stata lunga, ma molto piacevole, e passare del tempo con la Wigorsol, e la sua famiglia è il massimo dopo molti mesi.
ore 22.22 giovedì
Non ci sentiamo più da 2 giorni. Molly sei stato un coglione come gli altri, e io stupida a crederti, eppure io ci speravo un pò.
Pulizia fatta!Niente più Tommaso, niente più LUI, niente più L'Altro. Rimane solo Giò.
Molly, sei entrato con prepotenza nella mia vita, nella mia quotidianità, scandendo le mie notti con lunghe video-chiamate e risate silenziose. La tua voce , le mie parole. Perchè mi chiedo, ci mancavi solo tu ad incasinarmi...
Ore 23.00 Mercoledì
Esco in fretta e furia, compro le Winston, mi copro il collo dal vento gelido dì questa fredda e cupa notte di Dicembre. Ci troviamo a metà strada, scruto l'orizzonte in cerca della tua figura...vedo un'ombra delinearsi, pian piano, e ad ogni passo farsi sempre più chiara, il tuo prepotente metro e novanta, le tue spalle larghe, il tuo candore, i tuoi occhiali e gli specchi che vi nascondi dietro. Ci salutiamo, un pò imbarazzati, da un incontro non premeditato, un pò imbarazzati dal non sapere cosa dirsi, e dai sorrisi sciocchi che si sono andati a creare. Ci sediamo su una panchina, mi versi un bicchiere di Menabrea, sorrido soddisfatta, "Cheers", mio caro Molly, "Cheers" alla tua, alla mia, alla nostra, al tuo cuore, al nostro incontro, a quel che sarà.
Ci raccontiamo quattro stronzate, ci presentiamo al meglio, come a voler lasciare a casa, o quanto meno nascondere la merda nell'armadio, chiuderla a chiave, così da essere sicuri che rimanga al sicuro lontana da noi, lontana da sguardi indiscreti.
Andiamo avanti per ore, senza renderci conto dello scorrere incessante dei minuti.
"Allora avete intenzione di smettere di rompere i coglioni voi due? Sono le 2 di notte cazzo!"queste le grida della vecchia con by-pass. Queste le nostre risate, questo un tuo abbraccio, questo un tuo dolce sorriso, questa una tua carezza, un bacio sulla fronte. Questo l'amore che ti vorrei dare, questo l'amore che non so più trovare.
Ore 2.45 Giovedì
Ciao belè..certo che sei proprio un tipino te, e hai un caratterino..ma sappi che mi piace mi piace MI PIACI.
Leggerti è stato bello, leggere le nostre conversazioni mi fa anche strano, come se potessimo davvero amarci, condividerci, dimezzare i nostri cuori e scambiarceli come pegno di un qualcosa che necessita i suoi tempi, che necessita rispetto, cura, astinenza. Ci capiamo al volo, basta una semplice frase che tu la continui e cogli subito il senso della mia esistenza. Non sarai mai come Tommy, lui era speciale, mi leggeva dentro, ma tu è meglio che non mi legga dentro, che rimanga nel tuo analfabetismo momentaneo.
Finisco di mangiare i finocchi, mi alzo da tavola, dico che sono stanca e mi fa male la testa, in realtà voglio solo uscire dalla cucina, voglio solo distogliere lo sguardo da quelle persone, e da quel cane. Io non amo i cani, e il fatto che lui ronzi attorno al tavolo mi infastidisce, il fatto che lui su quel tavolo ci salga mi disgusta.
Gli e lo dico tutti i giorni, "Giovanni, basta, non ce la faccio più, smettila di far salire il cane sulla sedia, non mi piace che stia a tavola con noi, che mi fissi mentre mangio. Smettetela di dargli da mangiare tutte quelle schifezze, ha il suo cibo, gli fanno male il salame, le noci, il formaggio, e poi domandati perchè gli date le medicine e non gli passa", ma le mie sono solo inutili lamentele, che finiscono nel vuoto. Inascoltate.
Voglio un gatto, voglio un pò di compagnia, dice che non è possibile, perchè c'è il cane, perchè a lui non piacciono. E tutti i miei tentativi di avere qualcuno a farmi compagnia svaniscono nel nulla. Tutti i miei tentativi dal sottrarmi dalla mia solitudine se ne vanno per i cazzi loro.
Penso al mio Loco, al mio tenero e rossiccio gattone, dal passo felpato, dalla spiccata agilità e golosità verso i croccantini della Whiskas confezione viola. Ripenso a quando mi dormiva accanto alla testa, a quando mi faceva compagnia mentre studiavo salendomi sopra le ginocchia e sopra i libri che vi appoggiavo, a quando mi accompagnava alla porta con un miagolio quasi a dirmi: "Buona giornata padroncina e torna presto che ho voglia di essere coccolato"
"Giò, ma cos'hai? Sembri depresso" - "Te ne accorgi solo adesso?"
Mi viene da ridere, non ci posso credere, mi dica di essere depresso! E io? Io che sto a sopportare tutte le sue menate? Che non ce la faccio più a stare con lui, che sono stanca di svegliarmi la mattina accanto alla sua figura, accanto alle sueurla, accanto al suo cane che ci sveglia, con suo padre tutte le mattine alle 6.
Stanca che lui non mi rivolga la parola, che non mi rivolga un sorriso, che non mi dica di uscire fuori a fare una passeggiata, a berci un succo, a mangiare una crepe. Perchè voglio pensare a quanto sia bello essere innamorati, perchè tento inutilmente di fare questo e quell'altro, perchè sorrido anche quando non dovrei, se poi ricevo solo merda!
Penso ad oggi, a come è andata a scuola, a quello che mi ha detto la professoressa di italiano:
"Cos'hai cara? Ti vedo stanca, c'è qualcosa che ti turba? Non ti vedo al 100%, e mi dispiace non poterti dare il solito voto, perchè tu sei una ragazza da otto e oltre, e darti questo sette mi sembra brutto, perchè io con te voglio osare" - " Beh sa prof, ultimamente non sto troppo bene, e...[tutto quello che potrei dirle] niente non so, tutto qua, la mia salute non tende a migliorare" - "Dai allora riprenditi presto, che ti rivoglio bella carica per la prossima volta"
Credo di vivere per collezionare trofei amorosi, per collezionare uomini, e toglierli dalla LISTA dei nomi.
Della serie: "Mi sono fatta Carlo, alto moro, occhi neri, fisico curato, di Milano con poco cervello e tanti soldi", premetto che questo Carlo io non l'ho ancora incontrato e questo era solo un esempio, ma credo che renda l'idea. MENO UNO alla fine.
Se penso a tutti i ragazzi con cui sono uscita mi viene il capogiro, Andrea, Damiano, Marco, Luca, Lorenzo, Simone, Francesco, Erber, Maurizio, Vincenzo, Mirko, Massimo, Giacomo, Edoardo, Mario, Gianpiero, Giuseppe, Matteo, Peo, Giovanni, Stefano, Paolo, Davide, Amerigo, Michael, [quelli di cui non mi ricordo il nome] poi penso a tutti quelli che ogni giorno mi chiedono di uscire, come se io avessi scritto in fronte "Casa di Appuntamenti", come se avessi una sacca in cui conservo la polverina magica con cui spargermi le ali, per poi riversare l'amore che Cupido ha smesso di dare.
"Hey Cupido, io non sono pagata per fare questo lavoro, è il tuo lavoro, e smettila di scoccarmi addosso tutte le tue frecce, e piuttosto cerca di scoccare addosso a qualcun altro la mia di freccia!!!"
Penso che la fine sia vicina, e ne sono quasi rasserenata, quasi pronta a riprendermi la mia vita in mano.
Questa sera, gli ho fatto una semplice domanda, "Giò ma io come mi chiamo? " - "Beh ti chiami Kim ... " mi disse sorridendomi, e io "Kim e come"- "Kim e ...."- "Qual è il mio secondo nome?"- "Ma dai Kim non cominciare con queste stupidagini, che a nessuno interessano, è solo un nome" - "Si ma è il mio, e se non sai neanche come mi chiamo a questo punto non so neanche perchè stiamo assieme"
Li ho ficcati in uno zaino, presa dalla foga, dalla rabbia.
Ho preso 2 libri che mi sarebbero serviti domani.
[corri. scappa, vattene]
Prendo su tutto ciò che potrebbe servirmi, una sciarpa, un paio di calze, la spazzola, il deodorante, i fazzoletti, prendo l'MP3, le cuffie, il caricabatteria del cellulare, sono pronta, ho su i jeans grigi, la felpa degli indignati, il giubbotto è sul letto, le scarpe ai piedi, sto per uscire dalla porta, non ci sono le chiavi.
[dove sono le mie chiavi. Perché le presta sempre ai suoi amici? Perché non sono mai in questa casa quando servono??????]
Mi assale il panico, non riesco più a respirare, mi ritrovo ancora qua chiusa in questo CUBO, oggi c'è anche sciopero quindi col cazzo che posso prendere il treno, le chiavi dell'altra casa non ci sono, dove posso stare? tutti quelli che conosco abitano troppo lontano!!!Mi svesto con astio, con l'odio più profondo che racchiudo dentro di me!!!!Piango, fuori piove, e di sicuro non mi metto a dormire come i barboni per strada, piango, piango perchè se le cose andassero diversamente non dipenderei da lui, perchè non mi farei trattare così, perchè la mia amica me lo aveva detto di lasciarlo, perchè " prima Kim eri felice, riprendi in mano la tua vita, se non per te, fallo per me, fallo perchè mi vuoi bene" e queste parole mi fanno male.
Cosa posso fare adesso, chi posso chiamare, mando un messaggio a uno dei tanti lui, e mi dice che ora non ha tempo, che ci "aggiorneremo" noi, come a dire, che cazzo me ne frega a me di te, tante belle parole, per poi, ora che sto morendo che mi dici? Che non hai tempo..FANCULO!!!!!
Giò è tornato, sono andata in bagno, col mio Pc, le mie cuffie, e la voglia di ucciderlo, come se questo sia un comportamento normale, non sono mai stata trattata così male, mai, neanche Vincy aveva mai esagerato così tanto, e mi chiedo ancora in quale vicolo stia finendo, perchè non sono da Tommaso ora, perchè non sono andata oltre al mio egoismo, perchè non riesco a vivere in pace? Mi alzo lentamente, mi fa male la testa, è tutto oggi che non sto bene, è tutta settimana che sono malata, è solo un giorno in più sulla terra mi dico.
Mi sento così triste ultimamente!!!!!
Mi sento così sola, così incompresa, così inutile, così indecisa sul cosa fare, sul come farlo e sul quando. Sento che i pezzi del mio puzzle non andranno mai al loro posto, neanche a volerlo ricomprare nuovo..neanche allora!!!
Mi sento sempre più piccola, persino dal mio metro e ottanta, mi sento così indifesa.
Si ferma la musica, lo sento russare, e mi sollevo un pò di morale, almeno non lo dovrò più sentire, sono distrutta, il mio piccolo mondo è crollato, non l''ho retto più sulle spalle, e sto sprofondando in un pianto interminabile, come la sua bellezza, le lacrime ricordano la pioggia, e tutti nasciamo gridando e piangendo, tutti nasciamo dal pianto e dalle grida di una madre, dal suo dolore, ce lo portiamo dentro, ogni donna se lo porta dentro, come se la propria vita sia stata segnata fin da quel semplice pianto, da quel fragile momento. ma a me nessuno lo ha detto in anticipo, e perchè?
Ascolto le dolci note di "il favoloso mondo di Ameliè " e la tristezza e semplicità di quelle note sembra rispecchiare la nullità e il vuoto che sento dentro, un profondità difficile da scavalcare o scalare.
Io ho paura e più ho paura di te più sento di volerti con me. Sento di voler respirare la vita che fai per rendermi conto che in realtà la mia è una passeggiata, una prestazione da bambino inconsapevole, un lamento contro un male non così cattivo come il tuo. Io vedo in te un cuore denso di cose buone e non meriti questa oppressione, questo peso addosso. Non meriti di essere infelice e di sfogarti contro te stessa nel modo in cui lo fai. Il tuo modo autodistruttivo di bere, di volerti ubriacare per non soffrire quando non hai una cuffia in testa e delle note musicali non ti cullano nel letto prima di andare a dormire. Non voglio sentirti usata nel cubo di casa in cui un delinquente ti ha rinchiusa. Non voglio sentire i tuoi lamenti e non voglio sentirti dire che soffri per lui perché da quello che scrivi lui non può capirti in questo momento della tua vita. Mi meraviglio della tua apparente intelligenza se immagino quanto tempo ti abbia costretto ai suoi giochi con un giogo al collo da cui tu non ti liberi perché l'hai reso un maestro di vita, colui che ti ha formata, magari resa donna. Vorrei portarti via da lui, dal ricordo di Vincy, da LUI (chi è LUI?), perché io non ce la faccio a scoppiarti dentro con le mie parole e a ricevere il male che ti danno come un calcio nei coglioni. Sarei un bambino se volessi pretenderti come un giocattolo mentale alla stregua di un cruciverba senza schema, e rischio anche di sentirmi un coglione se penso di volerti come una donna quando tu vivi con un uomo che ha il doppio dei miei anni e, almeno anagraficamente, è più uomo di me. Pretendo tu sia consapevole del fatto che mi danneggia in modo pesante vederti star male, saperti consolata da tanti uomini indefiniti, sentirti oltraggiata dalle mani e dai pensieri farciti d'orrore di questi artigli che ti mettono addosso. Ho intravisto migliaia di foto tue e non le guardo. Il solo pensiero di guardarle mi avvelena perché tanti le guardano con la bava alla bocca. Tanti ti guardano e sognano di averti con lo stesso gusto con cui un ventenne medio fa un lavoro di merda sottopagato solo per aggiungere un'altra tacca al curriculum. Io non ho bisogno di una tacca in più. Io ho bisogno della difficoltà di cui sei imbevuta come una spugna per espugnarla e regalarti un momento in cui ti senti felice davvero di avermi accanto, ma quando mi sembra che ti avvicini ai miei bisogni poi di colpo ti allontani e mi dai del "freddo". Io sono freddo cazzo, sì. Sono un povero introverso e da sempre la mia timidezza è vista da chi non mi conosce come una minaccia, una chiusura, un male, una povertà. Essere timidi equivale a essere messo da parte, perché sembri sempre gelato nello stesso catatonico umore, laconico nella tua assenza di partecipazione alla vita quando la gente ti vede solo come un passante interessante fuori dal mondo e dalle cose comuni. Ma io partecipo eccome, a mio modo, e quando voglio vincere ci metto anche le viscere sul piatto dove il tuo moroso tira la sua schifosa bamba. Allora quando mi vedrai davvero dentro, saprai quello che ho davvero dentro: del sangue come tutti, della poltiglia rossa, la stessa che ha un cinghiale quando lo macelli e fa svenire uno studente di medicina alla prima autopsia perché ha paura dello stesso sangue che ha in corpo e di cui si macchia le mani ogni giorno e spesso fuori dal tavolo operatorio.
Io non ho dieci anni e anche se ne avessi dieci saprei vedere più di altri quello che altri non vedono. Saprei vedere più di un trentenne, di un quarantenne, di un cinquantenne che dice di capirmi ma sbaglia perché non è mai stato come me neanche a dieci anni. Non è presunzione, lo senti e basta se è così. E lo senti perché hai vissuto cose, perché hai un cuore che pulsa delle stesse emozioni di cui ognuno ha bisogno ma hai mancato bisogni di cui tutti hanno la pancia piena e tu no perché non sei riuscito ad appagarli mai. Perché ti hanno osteggiato, perché ti hanno deriso, perché ti hanno fatto pesare la tua timidezza, la tua introversione, l'orgoglio di essere te stesso e non una marionetta in mano al vento degli altri che vuole scoparti anche il carattere. Io non vado dove vai tu, io non sniffo la tua merda e anche se ti amassi non pretenderei mai di essere come te perché non è così, mai, con nessuno. Perché ognuno è l'individualità che si è montato addosso da solo e troppi non hanno avuto il coraggio di non prenderla già montata, precostituita sulla pelle della massa a pecora di cui non ho voglia di fare parte. Non sono mai stato sociale. Al calcetto ho sempre preferito leggere e ho iniziato a fare il dj, il fonico, a comporre musica per esternare quello che a parole non sono mai riuscito a dimostrare. Perché ognuno vuole una dimostrazione da te, devi sempre dimostrare qualcosa a qualcuno; la vita funziona così, il lavoro te lo prendi così, gli amici te li conquisti così, una donna te la conquisti così, non puoi farlo in altro modo se vuoi sopravvivere. Ma a me fa male, perché me ne starei sulla scrivania a rileggere Cyrano tutto il giorno e il resto vada a farsi fottere. Però non si può fare, perché ho bisogno di mangiare per vivere e di avere dei soldi in mano per farlo. Ho bisogno di avere i miei sogni: di sognare una donna che mi ami, di sognare qualcuno che mi comprenda, di sognare qualcuno che si fidi di me e mi dia le occasioni su cui una giovane vita si costruisce, le opportunità di avere un futuro di cui la vecchia generazione non si preoccupa perché lo ha già. Perché allora c'era il boom economico, era un'altra cosa. Perché erano gli anni '60, perché la gente andava in piazza e ci credeva sul serio. Perché ci si fidava della politica, perché la Democrazia Cristiana era qualcosa di serio.
Sono freddo, sì. Sono freddo perché se ti chiamassi al telefono non riuscirei mai a parole a farti un discorso come questo perché a voce mi si strozza tutto dentro, perché faccio fatica a parlare, a dare un esame orale a scuola, a intervenire in una conversazione senza uscirmene con una voce fessa da adolescente imbranato, a sfidare l'arroganza di chi mi passa davanti non perché è più intelligente ma perché ha un'eloquenza sfacciata di cui io sono sprovvisto. La mia eloquenza è nelle mani quando scrivono, sì, ma in realtà c'è sempre, anche quando ascolto senza parlare, quando assimilo i pensieri degli altri e ne elaboro di miei.
Io ho fatto lavori a 23 anni che trentenni, quarantenni nel mio stesso mestiere hanno sognato tutta la vita e non sono mai riusciti a realizzare nemmeno una volta. Dovrei esserne orgoglioso, ma non basta. Non mi basta. Non ho nemmeno capito quanti anni hai, cosa studi, che cosa rappresentano le tue confessioni. Cosa sono io? Un prete? No, non sono un prete. Perché secondo te non ho voglia di tenerti la mano, di darti un bacio e sentire se sai di alcool o l'alcool lo bruci in quello che mi dici? Io ho senso dell'umorismo anche se non riesco a fartelo intravedere. Io sono amato dai miei amici, mi vogliono bene, mi cercano. Chi non mi cerca io non lo lascio lì a sperare di ritrovarmi di nuovo: io lo chiudo fuori. Per questo dei 3000 e passa iscritti alla mia pagina e degli altri 300 amici sul mio profilo privato, dei messaggi che ricevo da indiani sconosciuti, da gente mai vista, i miei amici veri, quelli che frequento spesso, con cui mi diverto di più perché so di potere contare su di loro, sono sempre gli stessi: Riccardo, Chiara, Marco, Alessia. Perché sono veri. Perché Riccardo c'è sempre. Perché Chiara quando mi sono operato alla retina c'era. Marco mi difendeva quando i bulletti mi prendevano di mira e io lo aiutavo a sentirsi un uomo quando stava male perché tutti avevano la barba e lui nemmeno un pelo.
Tu dov'eri quando io ho quasi perso un testicolo per una torsione testicolare e mi hanno operato d'urgenza? Dicono che sia un dolore simile al parto, non lo so, ma mi ricordo che stavo malissimo.
Vuoi fare l'amica, vuoi entrare nella mia vita e mi fai entrare nella tua vita, sì, ma questo ha un prezzo su di me, su di te, sui tuoi amanti.
Sei l'ultima arrivata e vuoi impormi le tue basi schizofreniche su cui tratteggiare appunti sul tuo quadro psichico. Io non sono il tuo psicologo, il tuo psichiatra e non mi interessa neanche fare finta di essere il tuo ginecologo per avere il privilegio un giorno di leccarti la figa.
Ti ho detto fin troppo bene cosa mi aspetto da te. Io non sono facile e non sono perfetto. Potrei solo dirti "ti porto di qui, ti porto di là" per alleggerirmi i pesi che mi porto addosso, per sfogarmi su una matta che si dimostra aperta e disponibile, ma non è solo uno sfogo e tu sei troppo furba per essere una pazza malata a cui offrire la mia solitudine perché in questo momento non riesco ad offrirla ad un'altra. Se te la offro vuol dire solo una cosa: voglio crederci.
Ti scrivo qui e non ti scriverò più su quel sito dove tutti cercano qualcosa, perché io quello che cerco lo trovo nella tua passione con cui mi dici tutto e non voglio più trovarlo con l'impersonalità "fredda" dell'estraneo "freddo" che non ti scalda come vorresti. Per cui ti scriverò qui. E lo farò sempre così con lunghi scambi, se la mia spontaneità di parlarti come se fossimo uno davanti all'altro, botta e risposta sintetici e scarni, ti fa così gelare e non ti sembra bello.
Ciao Kim
Ciao Tommaso. Non è questo che voglio,
non voglio che tu sia il mio prete non voglio che tu sia mio amico,
e sinceramente non voglio ..ti scrivo domani, ora non riesco a sistemare le parole..
Ciao Tommaso.
Eccomi qua.
Il non aver dormito affatto mi rende alquanto irascibile, solo che non riesco a dormire in questo cupo pomeriggio. Ieri è stata davvero una bella serata,mi sono divertita con 2 tipe a parlare, e sinceramente non me lo sarei mai aspettata di avere così tante cose in comune con loro. Ho mangiato molto bene, e tanto per introdurti un pò alla mia serata, ho mangiato antipasto di nduja e platani fritti, un primo di tagliatelle con ragù di verza e salsiccia (io non la digerisco la salsiccia così come il pesto), e poi costine con salsa barbecue fatta in casa ( io non amo le costine), e un'insalata di lattuga carotine e mela rossa.(guarda il caso proprio rossa ahah). Ho bevuto un pò.. tanto. 3 birre doppio malto,una bottiglia di rosso e in 3 abbiamo fatto fuori 2 bottiglie di angustura. Penso di non aver mai apprezzato così tanto il rum come ieri sera. Poi per finire in bellezza una torta tipo cremino con biscotto al cioccolato e i bignè alla crema. Ho riso tanto, so solo questo che ho riso riso riso..riso per dimenticare. Sono tornata a casa poi, con Giò, con la bianca e con la vista dell'alba all'orizzonte. Mi sono messa a letto alle 8.17 mi sono svegliata alle 10.45, e ora sono qua..senza sapere che scriverti, senza potermi o volermi difendere, scusare.per me puoi pensare quello che vuoi, puoi dire che non vuoi essere mio amico, prete, amante, che vuoi l'esclusiva. Dubiti della mia intelligenza, quasi a volermi compatire, come se io ti avessi chiesto di essere compatita. Ti sbagli Tommaso, nessuno mi ha rinchiusa ORA in nessun cubo. Sono io che rimango, sono io che ostento ancora, solo io, e LUI è lui..lui che tu non puoi comprendere,lui che volevo fosse solo un'amicizia, lui che non mi aspettavo sarebbe andata oltre, lui che ora vorrei tornassimo come prima a vederci 2 volte a settimana berci 2 birre farci 4 risate e riprendere il treno delle 00.24 come ogni mercoledì o sabato. Lui che adesso non lo farà più..e lui non è Giò.
Mi ha detto che mi ama, che sono l'unica donna che al momento vorrebbe accanto a se, ma io non gli credo, e mi chiede se per me sia lo stesso, se io provi lo stesso, gli ho risposto che anche per me è lo stesso, ma non è vero, non pensavo a lui mentre mi abbracciava, mentre mi baciava. E non vedevo l'ora che finisse tutto. Non pensare male, non mi faccio usare, sono io che uso, io che incomincio e io che mi stanco prima di aver concluso.
Vorrei scriverti, vorrei trovare l'ispirazione, vorrei avere delle risposte alle tue domande, ma sono le risposte che anche io sto cercando... Chi è LUI? Mi domando davvero chi sia , che cosa significhi per me. Vorrei che tu vivessi almeno un giorno della mia vita, che la vedessi da fuori, che ci respirassi un pò dentro, per vedere se davvero sono io che ho qualcosa che non va, o se anche altri prenderebbero le mie stesse decisioni.
Cosa me ne faccio di un cuore buono, se poi mi fottono l'anima.
Giò non può capirmi, sarà che lui ha sempre avuto tutto alla portata di mano, sarà l'età, e sarà che io non ho intenzione di parlargli.
Alle volte penso che sappia solo come io mi chiamo, e non chi sono davvero, Che non conosca la mia risata stupida, la mia faccia incazzata, il mio fiore preferito, il mio colore preferito, il mio cibo preferito, non so neanche se lui sappia davvero cosa io non mangi e cosa mangi. Non sa che amo passeggiare per ore nei "BOSCHETTI" di Milano, che amo stare ore a sentire il fiume che scorre lento, e si infrange sui massi, che trascina tronchi d'albero.
Vorrei sentirmi anche io come quell'albero, trasportato dalla corrente, fredda, gelida, crudele.
Alle volte sogno di lasciarmi andare giù da un ponte, finire in acqua, non opporre resistenza, non nuotare, impedire all'istinto di sopravvivenza di reagire. Vedere dove potrei arrivare e dove mi potrei fermare. Ma non lo faccio. Vorrei, non mi spaventa, non ho niente da perdere.
Mi vuoi come donna, ma non mi conosci neanche, cosa sai davvero di me? Ho così tanti problemi caratteriali che se tuo padre dovesse analizzarmi mi riempirebbe di ansiolitici. Ma questa è un'altra storia, questo è un altro film, che io non conosco e che non voglio visionare. Amici, amici, amici. Io ne ho solo una di vera, sincera sempre presente, che non mi viene a trovare alle 7 di sera solo perchè il moroso l'ha piantata in asso per andare a Milano e ritornerà chissà quando. Ne ho solo una, LEI, e la conosco dal liceo. Semplice conciso. Ma io non sono fatta per avere amici, compagnie, io sono fatta per la solitudine. Per stare sola, per la riflessione.
Non vogliamo le stesse cose, è evidente. Tu non parli mai di me, parli di te e di altri. Non capisco se sono sempre gli stessi o ogni giorno ne nasce uno diverso, si fotocopiano o crescono se annaffiati dalla pioggia invernale.
Io non ho più l'età per leggere dei tuoi amanti. Torno a casa tutte le sere tardi, la mia vita è un trascinarmi da un posto all'altro come un pacco postale e mi sento piuttosto distratto dagli eventi. Pensavo di essere insicuro, ma mi rendo conto di non esserlo per niente.
Mi rendo conto di sapere con esattezza quello che cerco e non ottengo, per il semplice fatto che sbaglio persona: sbaglio indirizzo, busso alle porte sbagliate. Non tratto le cose e le persone come dovrebbero essere trattate. Di cagnette pronte a saltare da un letto all'altro ne posso avere quante ne voglio. Vado in RAI e prendo una ballerina a caso, quelle con l'ansia di farsi vedere, quelle con l'ansia di essere belle e di non sentirsi amate abbastanza. Quelle che te la danno senza tanti problemi.
È chiaro, è lampante. Tu non vieni da me e se io provassi a venire da te sarebbe la stessa cosa. Sarebbe come partire, vedersi e poi rendersi conto che quello che vedi non ti soddisfa abbastanza. Non dare la colpa a un biglietto del treno, a una città che non vuoi vedere. Se volessimo la stessa cosa vorresti provare a, non dico sognare, comunque cercare di farti piacere, di immedesimarti nei contorni cittadini di cui la mia vita è costituita. Invece li disprezzi senza averli visti. Il disprezzo è qualcosa che non mi piace e non funziona coi sentimenti, li annacqua, li sfasa, li devia su altre traiettorie. Il disprezzo cancella idee precedenti, si nutre di preconcetti e li trasforma in distacco. Non dire che il tuo non è disprezzo, ma è solo ansia, ansia il cazzo. Se fossi ansiosa e basta e sul serio avresti voglia di sentirmi come dici di sentire dentro le mie parole, supereresti l'ansia; guarderesti oltre l'idealizzazione che ti sei fatta di me, sapresti definire qualcosa di nascosto e totalizzante dentro di te per non farti buttare giù dalla realtà violenta quando ti si presenta coi miei veri occhi. Non puoi dire che vedermi ti butterà giù come un birillo, non puoi essere così terrorizzata da quello che ho e hai fomentato. Anche tu l'hai percorso, l'hai voluto, sì, non dire di no. Anche tu hai caricato, hai coltivato, hai infiammato ogni giorno i nostri appuntamenti continui, che sempre appuntamenti sono anche senza vederci, senza frequentarci. Appuntamenti di passioni rivelate, di necessità svelate, di cantonate prese.
Non puoi dire che non puoi fare con me quello che fai con altri. Con i tuoi amanti vivi la realtà che mi neghi e poi ogni sera mi scarichi i tuoi sensi di colpa, il tuo terrore viziato, sensibile solo con te stessa. Io non me ne faccio niente dei tuoi sensi di colpa se ripeti come un mantra gli stessi identici schemi di cui io ho imparato a liberarmi. Dì pure che non vuoi. Tu dici di non sapere amare, ma di amore ne prendi tanto, te ne cade a tegole addosso e lo butti via con la velocità sincera con cui mi dici "ho sbagliato". Ma dove hai sbagliato? Sei fatta così, c'è poco da fare. Tu dici di avere sbagliato ma non hai sbagliato niente e lo sai. Perché sai giostrare il cuore caldo della tua intimità a piacere con qualsivoglia pedina. Ognuno ha un pezzo di te, un pezzo diverso di te. A ognuno dici quello che vuole farsi sentire. Ma a me non serve un pezzo e basta. Non ho nove anni, non sto giocando. Mi guardo indietro, guardo avanti, ho mille progetti. Non so neanche se rimarrò qui, in Italia o se un giorno mi sveglio e vado a vivere da un'altra parte, perché tanto adesso cos'ho in mano? Niente. Non mi affeziono ai luoghi e ti parlo dei miei luoghi solo per darti quel senso di intimità che non sai accettare. Per te l'intimità evidentemente è il sesso e ti lamenti se tutti parlano solo di quello e ti dicono quanto sei figa, ma non sei diversa da loro. Neanch'io sono diverso da loro, perché comunque un rapporto solo di parole non mi basta. Ho il diritto di chiedere qualcos'altro, qualcosa che abbracci i miei desideri. È la mia vita, me la devo costruire.
Non vuoi Giò ma stai con lui. Non vuoi l'altro ma stai con lui. Vuoi l'altro e continui a parlare con me, con altri. Non ha senso.
Io il mio senso invece l'ho trovato. Ce l'ho. So esattamente com'è fatto, che forma potrebbe avere. So che si scontra con la frugalità con cui ti dai via ad altri, perché io mi do a pochi. Io non mi do con te come faccio con altre e speravo lo facessi anche tu, ma non è così a quanto pare. Le tue sono solo parole, parole per gettarmi addosso le tue incertezze, ma io quelle traballanti seghe le ho superate da un pezzo e me le voglio buttare alle spalle. Io ho altre visioni. Io a maggio mi laureo e inizio a lavorare a tempo pieno. Sarà tutto diverso, saranno orizzonti completamente nuovi, senza l'università a rompere i coglioni. Sarà tutto ancora più faticoso e pesante di così. Il futuro, di cui tutti parlano come se fosse irraggiungibile, mi cadrà addosso come un macigno. Quel "da grande farò" si concretizzerà come essere investito da un tram all'ora di punta. Allora, vedrò davvero se avrò il coraggio di dedicare tutta la mia vita a un mestiere così complicato, perverso, insidioso, corrotto. Vedrò davvero se avrò le palle per arrivare a quarantanni e vedermi soddisfatto di quello che sono riuscito a costruirmi. Questo è il vero coraggio. Tu invece vivi una vita in cui sei coccolata dalla mattina alla sera, tradita ma coccolata, e ti lamenti anche. Sei ingrata di quello che hai, sei ingrata nel rifiutare quello che puoi avere. Sei sempre attaccata a una chat a chiedere amore amore amore e ti lamenti se Giò si fa, ma sei più drogata di lui. Sei meschina anche nel non accettare l'evidenza.
Smettila di dirmi quanti amanti hai, quanto sei bella. Non me ne frega un cazzo di quanto sei bella fuori perché quello di cui dovrei preoccuparmi e dovresti prendere in considerazione per un'analisi a freddo sarebbero solo le tue contraddizioni interne. Non ti risolvi, non ti puoi risolvere così.
E anche se cerco di starti vicino, tu mi respingi e respingendo me respingi tutte le mie metafore, le mie parole che ti nuotano dentro, ti piacciono ma non abbastanza per pescarle, conservarle sotto vetro, tenerle al caldo quando c'è troppo freddo.
Respingi il "focolare domestico" ma sei sempre in casa di uno che dici di non amare. Tu respingi cose piccole che poi diventano grandi, ti si cuciono addosso e a cui in modo inevitabile finisci per aggrapparti. Perché non sei solida, non hai delle fondamenta solide su cui costruirti, ti servono gli altri. Ti serve un uomo sempre. A me invece non serve una donna. Non me ne frega niente di una donna. Io voglio LA donna e tu per me così non sei donna abbastanza, anche se fossi la più bella nel raggio di duemila chilometri. Io non voglio una compagna per la vita, non voglio la favola della buona notte e vissero felici e contenti. No. Però vorrei avere la forza di provare a raggiungere con lei quello che non ho raggiunto con nessuna. Tu dici che non ho idea nemmeno di cosa parlo, sono solo chiacchiere, la realtà è diversa, è solo un'utopia. Ma a me va bene anche l'utopia, il velo di Maya davanti agli occhi che mi fa sembrare bello quel che non lo è. Mi basterebbe per rendere la mia realtà meno svagata, anche per attimi insignificanti che risulterebbero spazi infiniti. Tu hai paura dei silenzi su cui la stessa paura si fonda, ma non può esserci un salto nel vuoto senza la paura e non è vero che il nostro incontro sarà al buio se mi hai rivelato aspetti della tua infanzia che altri non sanno. Se alcune cose che hai detto a me non riesci a dirle ad altri qualcosa vuol dire. Non so cosa vuol dire, ma qualcosa vuol dire. Come ti ho detto subito, però, io non sono un libro da aprire su una pagina a caso per trovare l'ispirazione per essere più serena nel tuo rapporto con Giò, coi tuoi amanti, con tua madre.
Io ti aiuto, ma non sono un anestetico, un analgesico. Io ho detto fin da subito che tutto questo aveva un prezzo e che quel prezzo non era solo una scopata. E ho fissato un prezzo, perché tu mi sembravi all'inizio orientata in quella direzione. Perché hai manifestato idee e mi hai aperto varchi che mi portavano a pensare tu guardassi a me come ti guardavo io. Ma ho sbagliato. Tu non vuoi niente. Tu non vuoi me, non vuoi Giò, non vuoi l'altro, non vuoi nemmeno te stessa. Tu vorresti essere un'altra, magari essere me o la tua amica o sti cazzi. Ma come puoi pensare di essere qualcun altro? Di gettare la tua maschera di bella e dannata e crescere con una madre che ti voglia bene e rimanere bambina nei boschi?
Bruciali i boschi, per quel che mi riguarda. Alzati una mattina e prendi decisione come cristo comanda. Incendio la mia infanzia. O brucio tutto. O inizio qualcosa di nuovo e mi tengo stretta me bambina, la porto nella mia nuova vita con tutto quello che mi è rimasto di vero.
Nessuno ti promette niente in questo spazio insignificante in cui viviamo un'ottantina d'anni e poi crepiamo.
Nessuno.
Ciao Kim. Non ho nient'altro da dire.
Beh Tommaso, che dirti, sto ridendo, anzi sto sorridendo, compiaciuta del fatto che tu abbia realizzato finalmente chi sono.
Parole più vere non ci sono, io non voglio essere un'altra, ma se non prendo posizione da un giorno all'altro ci sarà un motivo, e sono cose che non ti ho detto e che mi tengo molto strette. Pensi che davvero non me ne andrei da Giò? Pensi davvero che non sarebbe più semplice? Pensi che non mi piacerebbe? Eppure non posso, non voglio, non ne ho modo.... E sono qua, e ci resterò finchè mi farà comodo, finchè non ne avrò abbastanza di essere tradita spudoratamente davanti agli occhi, davanti a gente che conosco e che mi sparlerà alle spalle a vita additandomi come una stupida. Non sono 20mila i miei amanti, ma non sono neanche pochi, ma bastano, bastano a rendermi un pò più importante. Ma come puoi chiamarli amanti se io non li amo, se io li uso, se ho realizzato che LUI è solo lui e non ci potrà mai essere altro che amicizia...e Giò è falso, generoso, meschino, più di quanto non lo sia io.. e l'altro..beh l'altro è ancora un libro visto dalla copertina!
Cosa pretendi da me? Che prenda queste tue parole che le componga a tua immagine e somiglianza e che ti dica cosa..Che ti avevo avvertito fin dall'inizio di come ero, di come mi allontanavo quando scoprivo ciò che sarebbe diventato? Che non so amare, non voglio amore io, non ho bisogno di UN UOMO VERO che io riesca ad amare, ho bisogno di attenzioni, di avere tutti attorno a me, come io fossi un'ape regina.
Prendo tegolate di amore, ma ne ho prese così tante, in così tante forme diverse, che non ho mai costruito un tetto, sarò stata ferita, avrò dei traumi, sarò problematica, ma puoi dire tutto tranne che io non ti abbia avvertito!!! Ciao Tommaso, non so che dirti, e non so neanche io quello che voglio..questa è la mia vita, passo di letto in letto, pensala come vuoi, non mi toccano le tue parole, neanche se mi scrivessi che sono una troia mi incazzerei...hai bussato alla mia porta, ti ho aperto, ti ho fatto accomodare, poi hai calcato troppo sul vederci, e ti ho fatto uscire, come se le tue parole fossero finite, come se non avessi altro da dire.Come se ci dovesse essere per forza un incontro. Il biglietto del treno è una scusa, ma io ho la paura dei treni, per meglio dire di perdere i treni, non è nessuna metafora, ho paura di perdere i treni, di rimanere in posti che non mi piacciono, che non conosco, che non mi rendono sicura.
"F:Ernesto non lasciarci così, regalaci ancora un'immagine.
E:Ma che ne so Fulvio, che ne so..io non avevo mai tradito mia moglie, e da quel giorno non l'ho fatto più, però ogni tanto, quando litighiamo e ho voglia di sentirmi un pò infedele, vengo quassù in questa terrazza, prendo un lenzuolo e me lo metto in testa, poi recito quella poesia :...C'è la neve nei miei ricordi, c'è sempre la neve,... e mi diventa bianco il cervello se non la smetto di ricordare, tanto qui sotto .. nulla è peccato. Questa la poesia che mi recitava la dolce Cecilia, con quei soli al posto degli occhi e quel tramonto al posto del sorriso, e ti dico caro Fulvio che non mi venne un solo infarto, ma ogni volta che la guardavo, la toccavo, la baciavo me ne venivano mille!.
-cit. MANUALE D'AMORE 2 ♥"
Nebbia.
Sono le 2 di notte.
Sono in un vicolo che costeggia il fiume.
Il vento si infrange tra le frasche.
Una luce soffusa di lampione illumina la notte fendendo la nebbia. sento la testa pesante.
Ho freddo alle gambe.
Sono in una macchina.
Sui sedili posteriori.
Sento delle risate.
Vedo una figura alla mia sinistra, mi sta fissando, è tutta sera che mi fissa da sotto le ciocche di nero crine, mi ha sfiorato l'anima, ci si è avvicinata, ma non è riuscita ad entrare.
La guardo, penso che sia una bella figura, un pò cristianizzata, delicata nella sua imperfezione. Intravedo una barba rossiccia. "Chi sei?" vorrei chiedere, ma trattengo il fiato ancora per un pò e poi scoppio a ridere. Fisso quell'ombra, la guardo con gentilezza, lei non sa niente della mia vita, sa pochi anfratti, poche frasi dette di fretta e dette male, ma ha fatto una buona impressione, su di me, sulla mia amica, su chi ci ha visto in giro.
Sento una mano che mi sfiora, che mi attira a se, che mi avvolge, sento del calore umano, un respiro sulla pelle, sento le sue labbra che sfiorano le mie, e iniziano una danza frenetica, sento la sua mano cercare la mia pelle, sento una mano che carezza il mio seno, per poi finire in un tango di umori.
Ricordo la luce del Pronto Soccorso, il mutismo apparente, il mio sguardo fisso nel vuoto, la vita mi stava scorrendo davanti agli occhi. Lui mi stringeva la mano, mi sorrideva, mi faceva delle strane smorfie, leggevo l'insicurezza nel suo sguardo. Sono scoppiata in un piano infinito, che anche ora scuote il mio fragile equilibrio. Ho aspettato 3 ore prima di avere di nuovo la padronanza della mia voce. Avevo paura del suo sguardo mentre le parlavo, avevo paura del senso di disapprovazione che sarebbe trasparito dal suo iride.
Visita prenotata per le 8 del mattino seguente. Non ho avuto il coraggio di tornare a casa, di guardare Giò negli occhi, ho preferito rimanere su quella macchina al freddo, a fissare quel cielo fino a veder sorgere l'alba, fino a veder la città muoversi sotto i miei occhi stanchi e indeboliti dalle lacrime, ad accarezzare quei capelli, come fossero miei capelli, come fossero una matassa intrecciata alla mia. Entro in ospedale, vedo la dottoressa. Mi da un foglio, una ricetta medica. Una farmacia, uno scontrino, un pacchetto..
Lui mi guarda, mi abbraccia, mi dice che tutto sarebbe andato bene, mi dice di perdonarlo, mi dice tutti i posti in cui vorrebbe portarmi, al lago di Como, in montagna, in Alto Adige, perché io davvero per lui sono importante, perchè vorrebbe stringermi sempre tra le braccia, perchè sono più carina struccata e imperfetta, così più vera, così più reale.
Vede la mia freddezza, vede che mi sto rinchiudendo nel mio CUBO sicuro, dietro quel sorriso stanco, dietro al trucco colato. Vede accendermi una sigaretta, non è un fumatore, non può capire, vorrei solo LEI al mio fianco, vorrei crollare in un pianto interminabile nel suo grembo, un pianto che lui non capirebbe, che non sarebbe capace di fermare.
Sento una vibrazione nella borsa, prendo il telefono, sullo schermo compare l'ultimo nome che volevo vedere, apro il messaggio, "è finita, è inutile continuare, prendersi in giro, sono stanco e per me è finita..basta." Ho sentito l'aria mancarmi per qualche minuto, mi sono scollegata dal mondo, e mi sono ritrovata in un luogo astratto, in un mondo sicuro e parallelo, in un mondo in cui mi dicevo è così che deve andare, è stato lui per primo a tu devi solo accettare una realtà che già da prima conoscevi, ma alla quale non hai dato il famoso la!!
Lo fisso mi sta parlando, che mi sta dicendo? Sta farneticando, "ci vedremo ancora? mi vuoi ancora vedere? Io sabato vorrei uscire con te e le tue amiche, andare a Milano", e io penso che sta invadendo già troppo la mia vita, sta entrando troppo con prepotenza per occupare un posto che nessuno gli ha concesso. Ma invece di dirgli questo, gli ho risposto che andava bene, che se voleva sarebbe potuto benissimo venire, e a nessuno avrebbe dato fastidio, che il posto è quello che è , e che forse non era di suo gradimento, non è posto da pantaloni eleganti e golfino, ma se ci teneva tanto mi avrebbe fatto piacere. Mi ha guardato come un bambino al quale si permette di giocare, o al quale si regala il gioco tanto desiderato.
L'ho lasciato lì, dicendogli ci sentiremo, ti farò sapere l'ora, mi sono voltata, era ancora lì a fissarmi, poi me ne sono andata, ho buttato via il pacchettino di carta, mi sono avviata verso casa, lui ha accelerato per poi sparire nel traffico.
La musica nelle orecchie, gli scolari diretti verso mete sconosciute, lo sciopero, l'autunno che aleggia nell'aria, le foglie che cadono come una coltre sopra il marciapiede. Ho paura di arrivare a casa e di discutere con Giò, ma fortunatamente non era a casa, era al lavoro, mi sono vestita, e sono uscita a fare compere, sono tornata e lui non c'era ancora, avevo mal di testa, di schiena, un male generale, un freddo dentro. Mi sono messa a guardare la televisione, mi sono addormentata per 2 ore, e poi più niente fino alle 5 di notte del giorno dopo. Gli ho detto una bugia, mi ha guardata, mi ha chiesto scusa, siamo usciti,e io ancora nel mio mondo, cercava di abbracciarmi, di essere un pò carino, come se si sentisse in obbligo di farlo solo perchè c'erano i suoi amici, solo perchè doveva far vedere a qualcuno che tra noi le cose vanno ancora bene, che siamo felici, e che appena finirà la scuola ci sposeremo e avremo dei figli. Ok..non è così..Durante la serata mi arriva un messaggio, "come stai tesoro?spero bene..ti ho scritto un messaggio, mi manchi."
Freddo. Buio. La scia di fumo di una Marlboro rossa accesa. Una sagoma. Una goccia di dolore le scendeva sul viso.
Sento che il mio piccolo mondo mi sta crollando addosso e non vedo nessuno al mio fianco pronto a sorreggerlo.
Guardo la finestra, come se il buio e le stelle fuori possano essermi di conforto, più di quanto non lo siano state, almeno smetto di piangere, un pianto rotto qua e là da singhiozzi strozzati in fondo alla gola.
Il mio corpo ha il rifiuto per tutto ciò che vuol dire vivere. Sono settimane ormai che ho il rifiuto verso il cibo, verso la comunicazione verbale con altri, verso il confronto, persino la vista di qualsiasi persona mi disturba, anche il mio riflesso allo specchio.
Vedo i miei 18 anni tanto attesi, tanto desiderati dirmi, "Bella, ma che ti aspettavi? Che svegliata una mattina, la mattina dei 18 anni tutto cambiasse? Speravi di diventare più interessante, più spensierata, più libera, pensavi che saresti stata in pace con te stessa? No, non è così, anzi i problemi e le responsabilità aumentano di giorno in giorno, e quello che gli altri pretenderanno da te sarà sempre più, anche se neanche 24 ore fa avevi 18 anni." Ecco cosa mi dissero un giorno di mesi or sono, ecco come mi lasciarono.
Sono qua a pensare a lui, che mi ha tradito , penso a LUI che mi ha confessato solo un'amicizia finalmente, ma che continua a cercarmi, ma non vuole vedermi, penso a Tommaso, che si è preso una cotta per me, ma io so di non essere la persona giusta per lui, penso alle decine di persone che mi scrivono giornalmente, uomini che credono io possa essere la loro anima gemella, la loro stella del nord. Ma io so che non è così, e che non è possibile. So che nel mio animo non c'è spazio per nessuno, a mala pena ci sto io, e i miei pensieri sfuggenti, non credo di aver posto anche per altri, anche solo per un nuovo pensiero d'amore.
Ho un sacco di foto sul mio profilo Facebook, sono circa 2500 foto. Foto in cui rido, in cui bevo, in cui mangio, in cui sono con amiche (sempre le stesse), foto di amici, amanti, foto di amorosi, foto di sogni passati, foto del liceo, foto del mare, foto di camminate, foto della montagna. Foto di mia sorella, dei pub vari, delle feste, dei vari tributi. Sono solo Foto.
Sono in camera, oggi pomeriggio mi sono staccata dal letto, avevo molto da fare, e ora sono così stanca che se penso solo che questa sera devo andare fuori a cena mi viene voglia di buttarmi dalle scale per rompermi una gamba.
Noemi "Vuoto a perdere" nelle cuffie, e il sapore di fumo in bocca.
Le palpebre si fanno pesanti, e tra poco mi dovrei andare a lavare, non ne sono in grado, su facebook sto parlando con LUI e Giò è di là a guardare il calcio con suo padre. Ha organizzato tutto per questa sera, e mi sembra anche strano, tutto fin nel più piccolo dettaglio incarna la sua maniacale perfezione. Cena a casa dei suoi amici, musica raggae e blues, cibo caraibico, rum, ganja, e il dopo serata di bamba.
Per lui questa è la felicità, per lui questo è come riconquistarmi, per lui questa sera è un modo di dirmi " Scusa, sono stato un coglione e mi rendo conto che anche se sono un pezzo di merda e dovrei stare solo come un cane, Tu ci sei.".
Non me lo direbbe mai a voce, e io non gli dico, che dei suoi amici, che della serata raggae, che del rum della ganja e della bamba non mi frega un cazzo. Non gli e lo dico, lo lascio fare, ma ha visto che non ne sono entusiasta, che 200 euro di bamba poteva risparmiarli, che avrei potuto usarli per i miei documenti. Ma sono stanca di ripetergli che dalla droga non ci uscirà più, che lo ha preso dentro, non riesce a capire e non ci riuscirà mai a capire che tra me e lui finirà tutto per colpa della bamba e della roba.
è successo così per caso una notte, la notte di Capodanno, la seconda notte passata fuori casa dopo aver rotto con Vincy, la seconda notte fuori con Giò, la bamba in macchina vicino al torrente a Val di non. Ora ci penso, e ci rido sopra. Il giorno dopo mi ha chiamato l'antidroga, e lo fa anche oggi, perchè alcol e droga per me non hanno effetti, E da quella notte che la mia vita è cambiata, è da quella notte che la mia salute è peggiorata ed è da quella notte che ho capito che con lui mi sarei solo rovinata. Ma ero già stata chiusa in catene troppo tempo e volevo solo scappare lontano.
Ho imparato molte cose in questo anno e a dir la verità molte di queste me le porterò sempre come insegnamenti di vita , ho imparato come non tutto ciò che sembra oro lo è davvero.
È bella la pioggia sì. Se mi faccio un film di te sul letto col cane ai piedi mi viene la pelle d'oca e inizio a cercare sotto le palpebre un'immagine viva che ti somigli nell'immaginario delle donne che ho visto, ho toccato, ho sognato. Cerco un'immagine ricca di vita, non una foto ritoccata con luci innaturali come su un set di una soap opera, perché sei viva ma io non ti vedo con i miei occhi. Cerco di vedere una sagoma sdraiata sul letto e cerco i tuoi contorni, i tuoi capelli rossi, la curva delle spalle. Vedo la foto profilo che mostri qui, le altre foto che fai vedere online e cerco di farne delle altre con la voglia di trovarti, di ricostruire il tuo corpo per intero come se io stesso lo plasmassi, seduto su una sedia nella tua stanza. Il cane ai piedi, raggomitolato come una ciambella, come il mio che dorme di là sul suo cuscino per terra.
Russa, forse sogna, si scuote e drizza le orecchie un attimo quando sente un rumore lontano. Poi torna a dormire. Poi si riscuote. Poi va a mangiare, poi abbaia perché vuole uscire. Il mio cane mi da tanto, me lo trovo sulla pancia la mattina quando mi alzo, me lo trovo tra i piedi e mi segue fino in bagno quando c'è il temporale e cerca protezione, vuole una carezza. È geloso di mia madre se qualcuno la bacia, morde mio padre quando bacia mia madre perché mia madre è la sua donna. Mia madre è la donna del mio cane. Mio padre forse secondo il cane è uno che vive lì per caso. Ma sicuramente il letto matrimoniale non è di mia madre e di mio padre. È di mia madre e di Billy, il mio cane ovvio. Il mio cane è un cane nevrotico, è vecchio, ha l'artrite, varie cisti sotto il pelo che gli fanno male. Si comporta sempre come un cucciolo anche se ha dieci anni. Mi scalda i piedi quando studio dai miei, quando mia madre esce un attimo e lui è inquieto, non vuole stare da solo. Si siede sempre sui piedi di qualcuno quando siamo seduti a mangiare, ti abbaia quando secondo lui è tardi ed è ora di andare a letto. Il mio cane pretende che mio padre vada a letto alle nove di sera. Si incazza quando mio padre va a letto più tardi, inizia ad agitarsi, ad andare avanti e indietro per le stanze. A volte quando è incazzatoincazzato gli ringhia, come se gli dicesse "vattene a letto, diamine, spegni la luce e la televisione. voglio il buio, andiamo tutti a letto, diamine, è tardi". Come se la mattina dopo il mio cane avesse chissà quali impegni. Magari amoreggia con la cagnolina di fronte o abbaia al vicino perché non lo sopporta, lo detesta da quando era cucciolo. Il fatto è che il mio cane che impegni ha? Non deve andare da nessuna parte. Vive di amore e di gelosie, mangia e dorme.
Io invece prendo il treno tutte le mattine. Alle nove e dieci devo essere a Rogoredo, alle nove e venticinque in Duomo. Poi prendo il tram 2 direzione Negrelli, passo Porta Genova e scendo in Via Ludovico il Moro, zona EMI, ex Richard Ginori. Questa è la mia routine. Milano la vivo di non luoghi: perdo più tempo ad aspettare treni e tram che a fare altro. Sono bloccato alle fermate come una pupazzo in balia di un vento che tira o forse non tira. Mi fermo e riparto. Faccio la stessa cosa che fanno i treni, le metro, i tram, rincorro sempre gli stessi luoghi in senso ciclico. Dipendo dal salire o no, dagli orari, dal fischiare frenetico di stazione in stazione.
Per darti un'idea, se sono in università e la mia giornata piena va dalle 10 alle 17.30 (con pausa pranzo dalle 13 alle 14.30), non sono mai a casa prima delle otto di sera. Arrivo a casa e devo cucinare, poi devo studiare. Se trovo un lavoro da fare, devo anche lavorare. In linea di massima esco pochissimo durante la settimana a meno di non fare un live o un lavoro in esterna da qualche parte a casa di Dio. Alle sei e mezza tutte le mattine sono in piedi. Scarico la tensione nei weekend, quando posso, ma non sono più uno da folli divertimenti.
La giornata invernale classica non può iniziare senza la classica nebbia pavese sul Ponte della Becca e i pendolari infreddoliti e muti in piedi sulla banchina della stazione. I pochi che parlano, se non parlano da soli, non fanno rumore. Parlano sottovoce, con la bocca semichiusa come se la nebbia e lo stridio dei freni sui binari dovessero mascherare per forza quello che si dicono perché è indecente, non si può dire ad alta voce sui binari del treno, è quasi immaturo parlare. Alcuni se parlano parlano di continuo del freddo, rivogliono l'estate. Se invece io penso all'estate mi sale l'angoscia di tante estati tutte uguali. Mi viene in mente la Sicilia, la casa sul mare poco distante dal passaggio a livello. Sento in bocca la ghiaia del viale che ora è diventato una colata d'asfalto fino alla statale, le grida delle madri contro i figli piccoli. La casa di mio padre che è nato lì, il suo mare freddo, mia nonna che ci prepara una scodella di pasta al sugo con le melanzane fritte, le zanzare a ogni ora del giorno, l'odore forte di pesce e di carne alla griglia misto a olive e arance verdi e aspre. A me piace quel mare, con la sua spiaggia che va sparendo a ogni nuova onda. Ma quella poca sabbia la preferisco vuota, quando non c'è nessuno. Quando sei solo tu, il mare, il bagnino, e la corrente è così fredda che se ti tuffi di testa ti sembra che il cervello ti si congeli nel cranio. Quando emergi inizi a sentire un po' di calore, ad abituarti, anche se dopo poco devi uscire per forza se no diventi blu e inizia a mancarti il respiro. Quando è freddo il mare è più pulito, non ci sono meduse, è pieno di pesci, si vede il fondale. Quando c'è tanta gente che urla la spiaggia è sporca, il mare è un brodo caldo pieno di meduse e l'acqua è affollata di corpi di tutti i tipi che fanno scappare i pesci.
Non ho amici in Sicilia, non sono mai riuscito a legare con nessuno nel breve tempo della mia permanenza estiva. Siamo io, il mare, i pranzi e le cene coi parenti. Sono ormai tre anni che non scendo più proprio perché non so cosa fare. In realtà ci sarebbero tante cose da fare, ma non da solo. Vorrei portarci qualcuno. Portarti al bowling poco distante da casa mia e fare una passeggiata sul lungomare. Vagare tra le palme e i fichi d'india fino al museo del Satiro che di sera è ancora più bello nel suo bronzo verde iridiscente. Portarti a Segesta o Selinunte a vedere una commedia greca quando il sole tramonta di un rosso sangue dietro il teatro e il marmo del tempio luccica quasi se qualcuno l'avesse costruito accatastando cristalli di sale. Ammirare le ceramiche dei quartieri tunisini della città e il loro microcosmo a parte, la loro cultura nascosta. Le loro case di pietra, il cous cos e il profumo di spezie mi ricorda Istanbul, il gran bazar pieno di gente, le danzatrici del ventre e il tè alla mela.
Mi piacerebbe tornare anche lì, come mi piacerebbe tornare in Norvegia, in Grecia, a Londra, a Edimburgo, a Parigi. Ad Amsterdam. Vorrei rivedere i fiordi in una stagione più umana, riprovare il brivido dello slittino a mezzanotte.
Vorrei tornare in tanti posti rimasti con la vita vissuta in quei giorni in mezzo al petto. Avevo quattordici, diciottanni, ventanni, il tempo passa e si raschia via di tutto. Qualcosa rimane perché te lo tieni, ti aggrappi alle foto che hai fatto, ai sapori che hai sentito, ma tutto con gli anni è sempre più attutito, lontano e a volte credi addirittura di inventarti di sana pianta nella tua testa dei profumi, degli odori che in realtà in quei posti non hai mai sentito o ti sembra di avere la sensazione di aver fatto cose che se le hai fatte non le hai fatte proprio così, è solo una parvenza costruita di realtà. Inizi a confonderti tra i tuoi ricordi e vorresti avere impresso un codice meno ermetico per non sommare esperienze sensoriali di luoghi diversi, per non fare un pastiche indigesto o ingigantire emozioni minori. Vorresti poter fare il backup dei tuoi dati, mettere tutto in una chiavetta USB e avere la possibilità di riguardare certi momenti preziosi come se fossero un film. Il tuo film. Sei un film anche tu quando pennelli aspetti di luoghi che non conosco ed entri con prepotenza nell'obbiettivo della tua sceneggiatura come una protagonista. Un film che vorrei proiettare in camera mia, quando piove a dirotto e il rumore ritmico della pioggia culla i sogni più leggeri. Il film di un film che parla di acqua che cade dalle grondaie e scivola sui vetri: tu sdraiata sul tuo letto e io sulla mia scrivania con la lampada al neon a forma di tucano accesa. Due anime affacciate allo stesso specchio che ci permette di comunicare, mentre fuori le gocce si spaccano sulle strade. Di fianco a noi tutto quello che non possiamo dirci, perché siamo solo delle dita su una tastiera che battono a mezzanotte delle lettere. Tutto quello che è la mia voce che senti e non senti. La mia voce che parla senza parlare. La tua voce che mi arriva al petto senza dire. Io ce l'ho una voce, tu una voce ce l'hai. Mi piacerebbe una voce così anche se non dovessimo parlarci mai. Mi basterebbe sentirti così, la tua voce, senza voce, quando non la posso sentire perché abita con un altro che vorrei sparisse in uno schiocco di dita, col cane di un altro, sul letto di un altro. Sentirei anche così. Sentirei più di così. Tanto la gente non sente niente, non ascolta niente. La gente scarica migliaia di mp3 e non li ascolta. Li scarica e basta e li tiene lì. La gente skippa le tracce, la gente lascia le cose a metà e non capisce la bellezza di un brano quando finisce. Quei secondi di silenzio tra una canzone e l'altra in un album. Il vinile una volta quando finiva il lato A dovevi girarlo per passare al lato B. Il vinile si sentiva dall'inizio alla fine. Ora la gente dall'inizio alla fine non fa più niente. Preferisce arrendersi prima, scappare, correre. Perché abbiamo dei treni da prendere, perché dobbiamo sempre fuggire. Puoi entrare ovunque, tanto ti ho già fatta entrare. Hai la chiave di porte che io non conosco.
Questo è il posto dal quale vengo, del quale non mi riesco ad immaginare neanche l'odore, ma al quale sono molto legata. Vivo in Italia da così tanti anni, che mi sento più italiana che altro. Sono fiera delle mie origini, nonostante io abbia perso le tradizioni, gli usi, i costumi, l'unica cosa che ho tenuto sono la lingua e il cibo.
Nonostante i giornali non ne parlino mai bene, nonostante ci accomunino troppo spesso a orde di zingari. Non assomiglio neanche ai miei compaesani, tutti fatti con lo stampino, io così diversa da loro in tutto, tutti li a 20 anni a progettare matrimoni, case, figli da fare, feste, mentre io non vedo l'ora che arrivi la sera per sentirmi viva.
Cosa mi ricordo del mio Paese?
Mi ricordo di mia nonna Marianna, dei suoi capelli corvini, i suoi occhi color nocciola, le sue mani grinzose, il suo bel viso, la pelle olivastra, la cultura mentale che un'altra donna della sua età non dovrebbe avere in un paese soggetto al Comunismo. La sua forza, l'andare avanti anche avendo perso il marito a 40 anni.
Non risposarsi .
Vivere sola in una casa immensa, e non sapere più come occuparsi delle bestie, dei campi, dei vigneti e dei frutteti.
Mi ricordo la stufa di terracotta bianca coi disegni blu in camera da letto, alta come la parete e con una base di 1m x 1m.
Ricordo le galline col ciuffo sulla testa e le piume sulle zampe, ricordo il profumo di mele appena fuori dalla porta d'entrata, e al solo alzare lo sguardo 2 alberi di melo rosso si ergevano imponenti, quasi a fare da scudo alla casa. Sembravano le mele di Biancaneve, rosse, succose, invitanti.
Ricordo la casa color turchese, col tetto argentato, i disegni sullo stipite, la paglia e la ghiaia sparsi in cortile, i cavalli nella stalla, l'orto lì vicino, il pozzo dove è morto il nonno, quel pozzo dove all'età di 2 anni mi ritrovavo a girarci attorno chiamandolo, cercandolo, senza rendermi conto che lui lì era morto e lì ci sarebbe rimasto, che non mi avrebbe più portato in spalla, che non avrebbe più gattonato con me, e che non ha avuto l'occasione di conoscere gli altri nipoti.
Ricordo l'odore di quella paglia, del fienile, dei tuffi che ci facevo, del fastidio sulla pelle.
Ricordo le pulci, che mi solleticavano la pelle, ricordo che adoravo mia nonna, per me c'è sempre stata, lei è venuta anche in Italia per starmi vicino, lei non mi avrebbe mai abbandonata.
Cosa mi ricordo? Sono passati 10 anni ormai e ti parlo dei 2 mesi che passai lì senza mia madre, senza mio padre. Solo con mia nonna.
Ricordo bene il bosco, ricordo bene una mattina che ci siamo andate, io e lei a piedi, abbiamo camminato per ore, abbiamo raccolto i funghi, ci siamo divertite a giocare a nascondino, mi sforzo di ricordarmi quel bosco, quegli alberi alti che in Italia non ho ancora avuto l'occasione di vedere, l'ululato dei lupi, la tana dei cinghiali su cui volevo giocare, ma mi ha fermato in tempo, il terreno umido e freddo su cui sono scivolata, la mia eco che risuonava tra le fronde, e il suono della sua voce che mi ritornava indietro. Non sono più riuscita a trovare boschi così, così infiniti, da camminarci le ore in rettilineo senza trovare la luce, la via d'uscita, spaventosi a tratti, quasi come quelli in cui si era imbattuta e smarrita Biancaneve.
Mi vorrei accendere una sigaretta, così per aspirare un pò di morte, cercarmela da sola, come se non fosse abbastanza quello che ci fanno respirare in giro, quello che ci fanno mangiare e le scorie che ci attaccano come se fossimo un bersaglio prestabilito.
Frugo nella borsa, cerco il pacchetto di Winston, lo apro, sono quasi finite (ma mi basteranno fino a domani, tanto per quanto io fumi di solito, potrebbero durarmi anche un anno..basta che non esca fuori a bere), ne prendo una, la guardo con disdegno, la vorrei riporre al suo posto accanto alle sue compagne, esito, ma alla fine cedo, prendo il PC con me, cerco l'accendino, anche lui rosso, anche lui così pronto a darmi quella boccata di morte.
Entro in bagno, mi nascondo, Giò non vuole che io fumi, non dopo la polmonite che ho avuto quest estate, ma ora non è in casa, è al lavoro e prendo fiato, ascolto Max Pezzali " Lo strano percorso", guardo il video , e penso "Cocciante per ora basta così, sei troppo triste e malinconico per i miei scarlatti giorni".
Aspiro, aspiro con avidità quella piccola mandante di veleno, quella morte gratuita, canticchio, canticchio col fumo che mi esce dalla bocca, e mi sento ridicola, mi sento un pò bambina, mi sento come quando guardavo i film coi grandi e si presentava la scena del bacio e mi mettevo le mani davanti agli occhi. Mi piacerebbe sentirmi ancora come quando ero bambina, mi piacerebbe essere ancora una esile ragazzina di 25 kg, alta 1.45, coi capelli biondi come quelli degli angeli, con gli occhi verdi e coi denti separati, con l'amore per gli animali, con zero preoccupazioni, che andava bene a scuola, che piaceva a tutti, che era sempre con un sorriso pronto per tutti, spontaneo, che amava stare coi bambini disabili e farli giocare, con la gioia di vedere l'albero di Natale, ecco cosa mi sono dimenticata di raccontarti.
L'albero di Natale, della magia che ha perso con gli anni, col crescere, del giorno che ho rotto le palle a mia Nonna, l'ultimo Natale di 10 anni fa, del pino gigante che mi aveva messo in corridoio, preso da quel bosco , quel bosco ora era entrato nel mio territorio, ma adesso non mi faceva più paura perchè era in casa mia e lui non la conosceva. Ero io a comandare. Solo anni dopo ho scoperto che mia nonna, morto il nonno, non aveva più festeggiato il Natale, non è più andata in Chiesa, non ha più preso alberi di Natale, regali.
Mio nonno adorava il Natale, comprare l'albero, i regali per me e i suoi figli, organizzare feste e cene.
Mi sto rattristando, penso a lui, a come io lo ricordi solo da una foto, l'unica che abbiamo insieme, io una piccola monella di 2 anni, lui alto, massiccio, imponente , moro, scuro, coi baffi neri, con la camicia colorata e con dietro il fienile in un giorno d'estate, di torrida estate. La settimana dopo è morto. Non aveva mai voluto farsi fare foto, neanche al matrimonio, e così dal nulla dopo 45 anni ha voluto farsi delle foto con me. Ecco cosa mi rimane di lui.
Ora non festeggio neanche io più il Natale, faccio regali a 2 persone, perchè devo, non perchè veramente me la senta. Io e mia madre sono 5 anni come minimo che non festeggiamo più insieme, anzi che non passiamo neanche più in casa le feste, io sono sempre in montagna (prima con parenti e ora per i cazzi miei ) e lei sempre al lavoro o con le sue amiche, coi suoi amici, amanti. Non amo le feste, non amo il giorno del mio compleanno, pasqua carnevale, e quali altre stupide feste si sono ancora inventati. La mia festa comincia al calar del sole all'orizzonte. La mia feste comincia quando sento i boccali di birra schioccare e sento il pronunciare del "CHEERS".
Ecco come la vedo. Scusa le ripetizioni. Se dovessi scrivere meglio questo testo ci starei su altre 3 ore, ma nella sua imperfezione, rappresenta la realtà così com'è, come sono confusionari i miei pensieri.
Il mio appartamento è vuoto al momento, non vivo più con nessuno. Avevo un coinquilino di Messina, poi l'ho perso perché è andato a lavorare a Rimini. Era uno dei pochi con cui stavo costruendo un rapporto di amicizia vero, ci raccontavamo di tutto, uscivamo insieme la sera, andavamo insieme ai concerti, ci ubriacavamo come due matti, mi prestava la macchina, mi prestava di tutto, era sempre gentile ed è andato via.
Sono rimasto solo con altre due camere libere. Non so neanche se le affitterò più. Ormai è casa mia, è la mia tana. Ho imbiancato le pareti, ho appeso qualche stampa di Picasso, Van Gogh, Monet, ho aggiunto delle mensole e ho cambiato la disposizione degli armadi e del letto con le ruote. Tutte le volte che mi giro quando dormo, la testata del letto sbatte contro il muro. Il vicino penserà che scopo come un riccio, ma non è così. C'è solo un girarsi e rigirarsi frenetico, alla ricerca di un sonno che a volte sembra non volere arrivare mai. Perché la testa dell'uomo accende il verde dei suoi pensieri quando dorme e invece di farti riposare dopo una giornata faticosa, ti fa riflettere, ti fa ragionare.
Ora qui in casa è tutto più mio, più compatto ed è un ambiente totalmente diverso dalle stanze spoglie che abitavo con Lorenzo e Margherita. Tornare a casa tardi e non trovare luci accese è come riabitare ogni giorno uno spazio che ha perso qualcosa, che manca di vita, di quotidiano. La mia quotidianità è viverci adesso come se fosse un passaggio comodo. Ci vado, ci dormo qualche giorno, quando torno tardi da Milano, per vivere un po' di indipendenza, per sforzarmi di imparare a cucinare, poi nel weekend torno dai miei, dai miei amici, torno da quello che considero la mia vita vera. Milano non è la mia vita. A Milano studio e lavoro ma non la frequento, specie di sera. Non sono nato a Milano, non trovo attrattive in Milano, preferisco l'Oltrepò, la provincia pavese, l'alessandrino. Ci sono pub, discoteche, cinema, pizzerie, e quello che vuoi anche lì. C'è stato un periodo in cui andavo al cinema da solo. Mi piaceva andare all'ultimo spettacolo o lo spettacolo del pomeriggio, quello in cui proiettano solo cartoni e ci vanno solo bambini. Prima andavo al cinema con gli amici, poi più nessuno ha voluto andare al cinema a una certa età: tutti al pub, tutti in discoteca, tutti dietro qualcuno come cani in fila indiana legati a un guinzaglio invisibile. Io andavo al cinema da solo. Ma c'è molto altro oltre a un cinema in cui graniticavo la mia indifferenza verso quello che facevano gli altri. Oggi dietro quella multisala, c'è una sala giochi che è diventata negli anni uno spaccio notturno a cielo aperto. Ma all'ex Medusa ora The Space, ci ho lasciato l'adolescenza. Lì e al McDonald ci ho lasciato le prime volte in cui uscivo la sera e per uscire intendo proprio "uscire" di casa. C'erano volte in cui andavamo al cinema solo per il gusto di uscire, non guardavamo neanche il film. Stavamo dentro, nei corridoi, a parlare di quante seghe ci eravamo fatti e pensando a chi, mentre le macchine del pop corn facevano un rumore infernale e qualcuno iniziava a limonare nascosto dietro il cartellone di un film dell'orrore.
Mi piacerebbe farti vedere i miei sentieri, i miei boschi, i miei anfratti nascosti tra le vigne e il verde della campagna circostante i luoghi in cui sono vissuto. Vederti tornare a correre lì, se non corri più perchè non vuoi più correre.
A volte esco di notte solo per vedere il cielo e d'estate è bello fermarsi sulla terrazza dei miei con un bicchiere in mano a guardare i fuochi d'artificio che sparano sulla collina di fronte il giorno della Madonna. Ne vedi il percorso, la scia bianca. Vedi le sagome delle persone che si allontanano per non farsi male. Vedi i daini che scappano impauriti dai botti e dal fuoco, si rifugiano in mezzo ai cespugli finchè il frastuono non passa e il colore delle esplosioni non smette di colorare la notte di rosso, blu, verde, giallo. La mattina mi svegliavo e andavo a cercare col binocolo dove fossero i miei daini. Poco tempo fa ho visto una femmina con dei cuccioli, ma era il periodo in cui iniziava la caccia e poi non li ho più visti.
Mi piace la campagna bagnata, il freddo che taglia le scapole, la pioggia che rovescia fango sulla strada, calpestare la melma, il suono che fa, i trecento metri che separano la casa della mia infanzia dalla statale e dal paese. Mi piace uscire la mattina quando nevica e tutto è bianco da fare male agli occhi. Ricordo la cioccolata che mia madre mi faceva una volta quando tornavo in casa dopo aver giocato a hockey sul fiumiciattolo ghiacciato con mio fratello e mio padre. Le altalene in giardino sono ancora lì, ma non mi dondolo più da un pezzo, non ci riesco più. Sono cresciuto, ho le gambe troppo lunghe. Una volta quell'altalena mi sembrava enorme.
Era tutto piccolo e inconsapevole una volta. Ero io piccolo. Per certi versi lo sono ancora, rimpiango le cose che facevo allora, la vita di allora. Vado più indietro che avanti. Anche tu non vai molto avanti, ti guardi indietro, pensi a un passato e lo stringi per non farlo passare. Come se avessi un setaccio nelle mani, setacci i giorni e parli di un carpe diem che non esiste. L'attimo non si coglie come una mela dall'albero. L'attimo si prende, si ruba, si fotte. Non ti regala niente nessuno in questa vita. Chissà quanti attimi ti hanno rubato senza che tu davvero lo volessi, solo perché al momento non c'era nulla di meglio, nulla di più chiaro, nulla di più vero di quello che ti offrivano in quel momento.
Se devo piangere, lo farò quando sarà necessario. Quando l'imprevisto sarà così inatteso e mai visto da essere la cosa migliore che potesse capitarmi in ventitré anni di vita. Se gli anni diventeranno ventiquattro, venticinque, ventisei, non mi importa. Sarà più dura aspettare ma sono abbastanza temprato per resistere ancora un po'. Non voglio piangere per un bel film o un bel libro che posso leggere e vedere ogni giorno. Voglio piangere per qualcosa che vedo una volta e poi non è detto che la reincontri con lo stesso fascino di quella volta. Come quando una donna vede la foto di un'attrice bellissima degli anni '20 e pensa di volere essere come lei, ma non può. È un'altra epoca. Ti resta solo la foto di quell'epoca. Ti resteranno solo i messaggi di quell'epoca. È talmente lontana quell'epoca…
Voglio piangere per qualcosa che vale la pena ottenere, anche se devo combattere contro tre, quattro, cinque persone che vogliono quello che voglio io. Non voglio piangere per una donna se mi piace e non la posso avere, e quando dico "avere" non vuol dire possedere. Io, se voglio, voglio a modo mio. Voglio volere col mio essere, ma non posso volere una persona se lei non mi vuole, se vuole solo i miei pensieri ma non si arrende alla realtà di un rapporto che solo mentale non può rimanere per non implodere e farsi male, non solo far male. Le parole dopo un po' finiscono. Puoi metterle in fila diversamente a formare nuove frasi, ma i concetti che sei riuscito ad esprimere una volta è inutile riproporli come un disco rotto. Funzionano fino a un certo punto e sebbene siano come vino che invecchia, così come l'essere umano invecchia e evolve con quello che si porta dentro, non può funzionare in eterno. In eterno tutto diventa aceto. In eterno tutto te lo dimentichi nelle credenze, tra le posate mentre sparecchi e ti guardi in faccia e non riconosci più il ragazzo di ventanni che eri.
Non sei una cosa, sei una persona inquieta e io non riesco ad abbandonare la tua inquietudine perché è la stessa che mi scopa le ossa anche se non ti ho mai toccato. A volte capitano reumatismi d'inverno e non sai più se hai dolore per qualcosa che ti è successo o se provi dolore perché ti è successo qualcosa. Non riesco a non scrivere a una persona quando catalizza la mia attenzione e i suoi amanti non possono distrarmi da quello che posso e voglio scrivere. Io posso aspettare che questi amanti si facciano fuori tra loro con i loro stessi spiedi aguzzi con cui hanno ferito ognuno a loro modo. Io posso aspettare il momento giusto per farli fuori io con l'unica arma che ho e sento di avere: "stremare" come dici tu. Ma non vuol dire solo stremare un altro che non sia io. È uno stremare ogni mia forza con la medesima forza. È uno stremare autoprovocante e subdolo al punto da perdersi tra le proprie stesse righe, mentre cerco di controllare quello che dice l'altro come se volessi imprigionare degli atomi fuori controllo. Cerco di incolonnare una vita che non è la mia quasi volessi mettere in ordine una libreria: la storia, la politica, il catasto, l'anagrafe. In questo modo raduno anche i miei fogli sparsi e trovo un'ordine che credevo perduto anche tra i miei ricordi. Ne tiro un filo e spero che qualcuno usando anche i suoi fili ne faccia dei gomitoli per regalarmeli a Natale. Non vorrei altro a Natale quest'anno. Regalami dei gomitoli.
Mi viene in mente in "Un topolino sotto sfratto", la frase del padre che possiede una fabbrica di spago: "Un mondo senza spago, è il caos". D'altronde, fin dall'antichità, le parche tiravano i fili.
Io di lingua ne parlo una. Ne vorrei parlare di più ma l'inglese non lo imparo. Non so nemmeno se ne parlo una di lingua, l'italiano, perché se ti facessi a voce discorsi del genere mi farei ancora più male, sentirei una fitta di imbarazzo atroce per non sapere inquadrare il discorso così come è chiaro nella mia testa, mi perderei. La mia voce può solo scriverli, parlarli in forma scritta.
La mia voce può anche cantarti "adesso spogliati come sai fare tu", ma Cocciante è Cocciante e io non sono Cocciante anche se canto Cocciante. Perché non l'ho scritta, perché questa canzone l'ha scritta lui. Così come i tuoi problemi li devi superare tu, perché sono tuoi. Li hai scritti tu.
Mi piacerebbe che tu stessi bene, che non piangessi per qualche stupido, che non fossi stupida quando ti senti di esserlo e in quell'occasione ti buttassi via.
Domani mattina ho un esame e sono qui a mezzanotte e venti a parlare con te che non ci sei, quando dovrei andare a dormire, riposare. Evidentemente dell'esame mi importa poco
Ho detto al mio moroso che sono stanca, stanca di lui, della droga e di me che trovo un piccolo conforto nell'alcol e nella distruzione.
Dove sei ? Perchè non ti incontro mai? Perchè non posso vivere di semplici "come stai, cosa fai?com è andata la giornata?" ma questo non succede mai e ci perdiamo per pochi attimi, mi fai discorsi completi, che adesso capisco poco, capisco poco perchè ho bevuto troppe rosse.. e io sono rossa..
Lascia stare, sto delirando..ho detto al mio moroso che da domani può considerarsi single..credi che lo farà?io non credo..eppure più ci penso e più mi viene spontaneo da chiederti dove vivi? e a quanto affitti?.. eppure non lo faccio..eppure starei troppo bene sola, che se venissi a coninquilinare( so che non esiste come parola ma rende l'idea) non credo che cambierebbe molto..io amo le tue parole, le parole che mi affascinano, parole che mi catturano...ma sarei disposta davvero a mettere in gioco me stessa? ti scrivo domani..ora sono quasi le 3 e mi deve passare la sbornia. Ciao Tommaso.
Ciao Tommaso. Eccomi qua. Scusa per ieri, scusa se ho scritto poco, se ho scritto male.Se ho scritto.
Sono stesa in questo letto, con un PC in braccio, come tutti i giorni, come se fossi diventata schiava di questo internet che ci ha contagiato così tanto. Guardo fuori dalla finestra, sembra essere diventato un gesto così normale, che mi sembra quasi di essermi fusa col copriletto in una paralisi quasi permanente e prettamente pomeridiana. ( Sarà che vivo di notte, che è davvero la notte il momento del dì che preferisco. Che mi completa, che mi fa apparire più simpatica.)
Cocciante nelle orecchie, oggi sono i suoi giorni, il cane alla sinistra dei miei piedi, fosse almeno il mio cane, lì che dorme appallottolato come un gatto, io adoro i gatti, adoro la loro indipendenza, il loro menefreghismo, il loro essere ruffiani, il loro venire a cercarti quando ne hanno voglia non quando lo vuoi tu, i gatti non sono come i cani che ti cercano e che ti stanno attorno solo per il cibo, i gatti non sono così stupidi che se vedono un guinzaglio iniziano a menarla per ore. Penso al mio gatto, a quando lo avevo, al giorno che l'ho portato a casa, al bene che gli ho voluto, ecco forse lui l'ho amato, penso a quando tornavo da scuola alle 2 e me lo trovavo giù dalle scale ad aspettarmi, che graffiava sul portone, che mi accompagnava la mattina alla porta, e iniziava a miagolare quando sentiva le chiavi nella toppa. Penso a quando saltava giù dal 2 piano, a quando lo cercavo per ore in cortile, nei campi di melga, penso alla notte che mi svegliavo dal caldo e lo trovavo vicino alla mia testa come a farmi da cuscino, penso che lo abbracciavo come un orsetto prima di addormentarmi e lui stava lì buono fino a quando non chiudevo gli occhi per entrare nel mondo dei sogni. Penso che era diventato una palla di grasso e mi ricordo che assaggiavo tutto quello che gli davo da mangiare, che se non mi fosse piaciuto piuttosto lo avrei buttato, diciamo che lo viziavo e se ci penso ora non lo rifarei, poi coi problemi che ho ora a mangiare molte cose, ma lui era il mio Loco, il mio piccolo batuffolo di cotone arancione, col pelo folto, con gli occhi verdi e disegni strani al posto delle solite righe del manto. L'ho dovuto dare via dopo un anno, mia madre ha scoperto di essere allergica ai peli del gatto, o forse si era solo stancata di averlo per casa. L'ho odiata, e lui lo sapeva che se ne sarebbe dovuto andare via. Infatti se ci penso ricordo che era diventato anche molto più silenzioso i giorni prima che lo portassi in cascina, come a dire, io non faccio male a nessuno tienimi qui con te, ti prego. Ho pianto tanto, non riavrò mai più un rapporto così, sarà anche per questo che odio il cane di Giò, perchè non vedo l'ora che muoia, che io rimanga sola in casa.
Ma perchè non piove più? è cosi bella la pioggia!!!
Mi immagino la tua voce , e mi fa strano perchè mentre rileggevo come sempre i tuoi scritti ha cominciato a formarsi una voce labile , leggera, un pò secca, frenetica. Sto farneticando. Vado a vestirmi, metto in moto il mio corpo, vado a fare la spesa. Vado a scoprire altri mondi culinari. Ciao Tommaso, un giorno so che mi mostrerai anche i tuoi boschi.