Il mio appartamento è vuoto al momento, non vivo più con nessuno. Avevo un coinquilino di Messina, poi l'ho perso perché è andato a lavorare a Rimini. Era uno dei pochi con cui stavo costruendo un rapporto di amicizia vero, ci raccontavamo di tutto, uscivamo insieme la sera, andavamo insieme ai concerti, ci ubriacavamo come due matti, mi prestava la macchina, mi prestava di tutto, era sempre gentile ed è andato via.
Sono rimasto solo con altre due camere libere. Non so neanche se le affitterò più. Ormai è casa mia, è la mia tana. Ho imbiancato le pareti, ho appeso qualche stampa di Picasso, Van Gogh, Monet, ho aggiunto delle mensole e ho cambiato la disposizione degli armadi e del letto con le ruote. Tutte le volte che mi giro quando dormo, la testata del letto sbatte contro il muro. Il vicino penserà che scopo come un riccio, ma non è così. C'è solo un girarsi e rigirarsi frenetico, alla ricerca di un sonno che a volte sembra non volere arrivare mai. Perché la testa dell'uomo accende il verde dei suoi pensieri quando dorme e invece di farti riposare dopo una giornata faticosa, ti fa riflettere, ti fa ragionare.
Ora qui in casa è tutto più mio, più compatto ed è un ambiente totalmente diverso dalle stanze spoglie che abitavo con Lorenzo e Margherita. Tornare a casa tardi e non trovare luci accese è come riabitare ogni giorno uno spazio che ha perso qualcosa, che manca di vita, di quotidiano. La mia quotidianità è viverci adesso come se fosse un passaggio comodo. Ci vado, ci dormo qualche giorno, quando torno tardi da Milano, per vivere un po' di indipendenza, per sforzarmi di imparare a cucinare, poi nel weekend torno dai miei, dai miei amici, torno da quello che considero la mia vita vera. Milano non è la mia vita. A Milano studio e lavoro ma non la frequento, specie di sera. Non sono nato a Milano, non trovo attrattive in Milano, preferisco l'Oltrepò, la provincia pavese, l'alessandrino. Ci sono pub, discoteche, cinema, pizzerie, e quello che vuoi anche lì. C'è stato un periodo in cui andavo al cinema da solo. Mi piaceva andare all'ultimo spettacolo o lo spettacolo del pomeriggio, quello in cui proiettano solo cartoni e ci vanno solo bambini. Prima andavo al cinema con gli amici, poi più nessuno ha voluto andare al cinema a una certa età: tutti al pub, tutti in discoteca, tutti dietro qualcuno come cani in fila indiana legati a un guinzaglio invisibile. Io andavo al cinema da solo. Ma c'è molto altro oltre a un cinema in cui graniticavo la mia indifferenza verso quello che facevano gli altri. Oggi dietro quella multisala, c'è una sala giochi che è diventata negli anni uno spaccio notturno a cielo aperto. Ma all'ex Medusa ora The Space, ci ho lasciato l'adolescenza. Lì e al McDonald ci ho lasciato le prime volte in cui uscivo la sera e per uscire intendo proprio "uscire" di casa. C'erano volte in cui andavamo al cinema solo per il gusto di uscire, non guardavamo neanche il film. Stavamo dentro, nei corridoi, a parlare di quante seghe ci eravamo fatti e pensando a chi, mentre le macchine del pop corn facevano un rumore infernale e qualcuno iniziava a limonare nascosto dietro il cartellone di un film dell'orrore.
Mi piacerebbe farti vedere i miei sentieri, i miei boschi, i miei anfratti nascosti tra le vigne e il verde della campagna circostante i luoghi in cui sono vissuto. Vederti tornare a correre lì, se non corri più perchè non vuoi più correre.
A volte esco di notte solo per vedere il cielo e d'estate è bello fermarsi sulla terrazza dei miei con un bicchiere in mano a guardare i fuochi d'artificio che sparano sulla collina di fronte il giorno della Madonna. Ne vedi il percorso, la scia bianca. Vedi le sagome delle persone che si allontanano per non farsi male. Vedi i daini che scappano impauriti dai botti e dal fuoco, si rifugiano in mezzo ai cespugli finchè il frastuono non passa e il colore delle esplosioni non smette di colorare la notte di rosso, blu, verde, giallo. La mattina mi svegliavo e andavo a cercare col binocolo dove fossero i miei daini. Poco tempo fa ho visto una femmina con dei cuccioli, ma era il periodo in cui iniziava la caccia e poi non li ho più visti.
Mi piace la campagna bagnata, il freddo che taglia le scapole, la pioggia che rovescia fango sulla strada, calpestare la melma, il suono che fa, i trecento metri che separano la casa della mia infanzia dalla statale e dal paese. Mi piace uscire la mattina quando nevica e tutto è bianco da fare male agli occhi. Ricordo la cioccolata che mia madre mi faceva una volta quando tornavo in casa dopo aver giocato a hockey sul fiumiciattolo ghiacciato con mio fratello e mio padre. Le altalene in giardino sono ancora lì, ma non mi dondolo più da un pezzo, non ci riesco più. Sono cresciuto, ho le gambe troppo lunghe. Una volta quell'altalena mi sembrava enorme.
Era tutto piccolo e inconsapevole una volta. Ero io piccolo. Per certi versi lo sono ancora, rimpiango le cose che facevo allora, la vita di allora. Vado più indietro che avanti. Anche tu non vai molto avanti, ti guardi indietro, pensi a un passato e lo stringi per non farlo passare. Come se avessi un setaccio nelle mani, setacci i giorni e parli di un carpe diem che non esiste. L'attimo non si coglie come una mela dall'albero. L'attimo si prende, si ruba, si fotte. Non ti regala niente nessuno in questa vita. Chissà quanti attimi ti hanno rubato senza che tu davvero lo volessi, solo perché al momento non c'era nulla di meglio, nulla di più chiaro, nulla di più vero di quello che ti offrivano in quel momento.
Se devo piangere, lo farò quando sarà necessario. Quando l'imprevisto sarà così inatteso e mai visto da essere la cosa migliore che potesse capitarmi in ventitré anni di vita. Se gli anni diventeranno ventiquattro, venticinque, ventisei, non mi importa. Sarà più dura aspettare ma sono abbastanza temprato per resistere ancora un po'. Non voglio piangere per un bel film o un bel libro che posso leggere e vedere ogni giorno. Voglio piangere per qualcosa che vedo una volta e poi non è detto che la reincontri con lo stesso fascino di quella volta. Come quando una donna vede la foto di un'attrice bellissima degli anni '20 e pensa di volere essere come lei, ma non può. È un'altra epoca. Ti resta solo la foto di quell'epoca. Ti resteranno solo i messaggi di quell'epoca. È talmente lontana quell'epoca…
Voglio piangere per qualcosa che vale la pena ottenere, anche se devo combattere contro tre, quattro, cinque persone che vogliono quello che voglio io. Non voglio piangere per una donna se mi piace e non la posso avere, e quando dico "avere" non vuol dire possedere. Io, se voglio, voglio a modo mio. Voglio volere col mio essere, ma non posso volere una persona se lei non mi vuole, se vuole solo i miei pensieri ma non si arrende alla realtà di un rapporto che solo mentale non può rimanere per non implodere e farsi male, non solo far male. Le parole dopo un po' finiscono. Puoi metterle in fila diversamente a formare nuove frasi, ma i concetti che sei riuscito ad esprimere una volta è inutile riproporli come un disco rotto. Funzionano fino a un certo punto e sebbene siano come vino che invecchia, così come l'essere umano invecchia e evolve con quello che si porta dentro, non può funzionare in eterno. In eterno tutto diventa aceto. In eterno tutto te lo dimentichi nelle credenze, tra le posate mentre sparecchi e ti guardi in faccia e non riconosci più il ragazzo di ventanni che eri.
Non sei una cosa, sei una persona inquieta e io non riesco ad abbandonare la tua inquietudine perché è la stessa che mi scopa le ossa anche se non ti ho mai toccato. A volte capitano reumatismi d'inverno e non sai più se hai dolore per qualcosa che ti è successo o se provi dolore perché ti è successo qualcosa. Non riesco a non scrivere a una persona quando catalizza la mia attenzione e i suoi amanti non possono distrarmi da quello che posso e voglio scrivere. Io posso aspettare che questi amanti si facciano fuori tra loro con i loro stessi spiedi aguzzi con cui hanno ferito ognuno a loro modo. Io posso aspettare il momento giusto per farli fuori io con l'unica arma che ho e sento di avere: "stremare" come dici tu. Ma non vuol dire solo stremare un altro che non sia io. È uno stremare ogni mia forza con la medesima forza. È uno stremare autoprovocante e subdolo al punto da perdersi tra le proprie stesse righe, mentre cerco di controllare quello che dice l'altro come se volessi imprigionare degli atomi fuori controllo. Cerco di incolonnare una vita che non è la mia quasi volessi mettere in ordine una libreria: la storia, la politica, il catasto, l'anagrafe. In questo modo raduno anche i miei fogli sparsi e trovo un'ordine che credevo perduto anche tra i miei ricordi. Ne tiro un filo e spero che qualcuno usando anche i suoi fili ne faccia dei gomitoli per regalarmeli a Natale. Non vorrei altro a Natale quest'anno. Regalami dei gomitoli.
Mi viene in mente in "Un topolino sotto sfratto", la frase del padre che possiede una fabbrica di spago: "Un mondo senza spago, è il caos". D'altronde, fin dall'antichità, le parche tiravano i fili.
Io di lingua ne parlo una. Ne vorrei parlare di più ma l'inglese non lo imparo. Non so nemmeno se ne parlo una di lingua, l'italiano, perché se ti facessi a voce discorsi del genere mi farei ancora più male, sentirei una fitta di imbarazzo atroce per non sapere inquadrare il discorso così come è chiaro nella mia testa, mi perderei. La mia voce può solo scriverli, parlarli in forma scritta.
La mia voce può anche cantarti "adesso spogliati come sai fare tu", ma Cocciante è Cocciante e io non sono Cocciante anche se canto Cocciante. Perché non l'ho scritta, perché questa canzone l'ha scritta lui. Così come i tuoi problemi li devi superare tu, perché sono tuoi. Li hai scritti tu.
Mi piacerebbe che tu stessi bene, che non piangessi per qualche stupido, che non fossi stupida quando ti senti di esserlo e in quell'occasione ti buttassi via.
Domani mattina ho un esame e sono qui a mezzanotte e venti a parlare con te che non ci sei, quando dovrei andare a dormire, riposare. Evidentemente dell'esame mi importa poco
Ho detto al mio moroso che sono stanca, stanca di lui, della droga e di me che trovo un piccolo conforto nell'alcol e nella distruzione.
Dove sei ? Perchè non ti incontro mai? Perchè non posso vivere di semplici "come stai, cosa fai?com è andata la giornata?" ma questo non succede mai e ci perdiamo per pochi attimi, mi fai discorsi completi, che adesso capisco poco, capisco poco perchè ho bevuto troppe rosse.. e io sono rossa..
Lascia stare, sto delirando..ho detto al mio moroso che da domani può considerarsi single..credi che lo farà?io non credo..eppure più ci penso e più mi viene spontaneo da chiederti dove vivi? e a quanto affitti?.. eppure non lo faccio..eppure starei troppo bene sola, che se venissi a coninquilinare( so che non esiste come parola ma rende l'idea) non credo che cambierebbe molto..io amo le tue parole, le parole che mi affascinano, parole che mi catturano...ma sarei disposta davvero a mettere in gioco me stessa? ti scrivo domani..ora sono quasi le 3 e mi deve passare la sbornia. Ciao Tommaso.
Ciao Tommaso. Eccomi qua. Scusa per ieri, scusa se ho scritto poco, se ho scritto male.Se ho scritto.
Sono stesa in questo letto, con un PC in braccio, come tutti i giorni, come se fossi diventata schiava di questo internet che ci ha contagiato così tanto. Guardo fuori dalla finestra, sembra essere diventato un gesto così normale, che mi sembra quasi di essermi fusa col copriletto in una paralisi quasi permanente e prettamente pomeridiana. ( Sarà che vivo di notte, che è davvero la notte il momento del dì che preferisco. Che mi completa, che mi fa apparire più simpatica.)
Cocciante nelle orecchie, oggi sono i suoi giorni, il cane alla sinistra dei miei piedi, fosse almeno il mio cane, lì che dorme appallottolato come un gatto, io adoro i gatti, adoro la loro indipendenza, il loro menefreghismo, il loro essere ruffiani, il loro venire a cercarti quando ne hanno voglia non quando lo vuoi tu, i gatti non sono come i cani che ti cercano e che ti stanno attorno solo per il cibo, i gatti non sono così stupidi che se vedono un guinzaglio iniziano a menarla per ore. Penso al mio gatto, a quando lo avevo, al giorno che l'ho portato a casa, al bene che gli ho voluto, ecco forse lui l'ho amato, penso a quando tornavo da scuola alle 2 e me lo trovavo giù dalle scale ad aspettarmi, che graffiava sul portone, che mi accompagnava la mattina alla porta, e iniziava a miagolare quando sentiva le chiavi nella toppa. Penso a quando saltava giù dal 2 piano, a quando lo cercavo per ore in cortile, nei campi di melga, penso alla notte che mi svegliavo dal caldo e lo trovavo vicino alla mia testa come a farmi da cuscino, penso che lo abbracciavo come un orsetto prima di addormentarmi e lui stava lì buono fino a quando non chiudevo gli occhi per entrare nel mondo dei sogni. Penso che era diventato una palla di grasso e mi ricordo che assaggiavo tutto quello che gli davo da mangiare, che se non mi fosse piaciuto piuttosto lo avrei buttato, diciamo che lo viziavo e se ci penso ora non lo rifarei, poi coi problemi che ho ora a mangiare molte cose, ma lui era il mio Loco, il mio piccolo batuffolo di cotone arancione, col pelo folto, con gli occhi verdi e disegni strani al posto delle solite righe del manto. L'ho dovuto dare via dopo un anno, mia madre ha scoperto di essere allergica ai peli del gatto, o forse si era solo stancata di averlo per casa. L'ho odiata, e lui lo sapeva che se ne sarebbe dovuto andare via. Infatti se ci penso ricordo che era diventato anche molto più silenzioso i giorni prima che lo portassi in cascina, come a dire, io non faccio male a nessuno tienimi qui con te, ti prego. Ho pianto tanto, non riavrò mai più un rapporto così, sarà anche per questo che odio il cane di Giò, perchè non vedo l'ora che muoia, che io rimanga sola in casa.
Ma perchè non piove più? è cosi bella la pioggia!!!
Mi immagino la tua voce , e mi fa strano perchè mentre rileggevo come sempre i tuoi scritti ha cominciato a formarsi una voce labile , leggera, un pò secca, frenetica. Sto farneticando. Vado a vestirmi, metto in moto il mio corpo, vado a fare la spesa. Vado a scoprire altri mondi culinari. Ciao Tommaso, un giorno so che mi mostrerai anche i tuoi boschi.
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