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martedì 19 marzo 2013

19 Marzo 1970 Convivo coi miei incubi, ho imparato a farlo, ho cominciato a sognarlo la notte che me ne sono andata, l'ultima volta che l'ho chiamato "Papà", una realtà troppo distante per fargli gli auguri oggi.

Mosca. Russia. Anni '70.

Si sentono le grida di una madre, risuonano per i corridoi di quell'ospedale di città.
Si sentono i pianti assordanti di un bambino alla sua prima boccata d'aria, a quel primo test di respirazione. Così si nasce. Subito. Si è sbattuti fuori in un mondo freddo, senza  più essere cullati dalla placenta e dal calore di una melodia materna.

Ecco nato il terzo di 4 figli, un maschio, orgoglio per la famiglia, lui era mio Padre. Sembra quasi ironico che un figlio nasca il giorno della festa del proprio padre, ma solo in Italia è celebrata il 19 marzo, il giorno di San Giuseppe, peccato che lui si chiami Sasha.

In Russia si festeggia in maniera molto allegra la nascita di un maschio, quasi fosse meglio che vincere al lotto, si fanno banchetti, si portano regali, soldi, si fanno promesse, si legano bracciali d'oro ai polsi, e un filo sottilissimo intrecciato di colore rosso, affinché contrasti il malocchio. [....]


19 marzo 2013

Oggi sono passati 43 anni. Oggi è il suo compleanno. Oggi c'è il sole, il sole dopo la bufera di neve.
Non so cosa dire di  Sasha, non lo conosco. Non me ne ricordo, non so cosa facesse da giovane.  Eppure anche ora che ben o male cerco di far parte, forzandomi, della sua vita, non ho coraggio di chiedergli come abbia conosciuto la mamma, magari se lei è stata la sua prima ragazza.

[Vorrei avere il coraggio di chiederlo a Mia Madre, ma so che per lei è ancora una ferita aperta a distanza di anni.]

Non ho il coraggio di chiedergli qualcosa di semplice, come "Dove sei stato tutti questi anni? Come fai a dormire la notte? Sai che un figlio non vive con 50 euro all'anno? Come fai ad abbracciare Alessia senza pensare che a me di abbracci non ne hai mai dati?". Vorrei chiedergli  se è felice con la donna che ha accanto, se Clotilde è davvero la donna giusta per lui, se non gli manca la mamma, se non gli manco io, se non si sente male vedendo che lui è l'unico dei suoi fratelli, nonostante i problemi a non aver mantenuto integra la famiglia.
Ma non ho il coraggio di chiederglielo, non ho il coraggio di scriverglielo, a cosa servirebbe, solo a renderci il cuore ancora più nero e  amaro.

 [Oggi è il suo compleanno e dico a Clotilde, tramite skype, di fargli gli auguri, lei mi dice che dovrei farglieli io, che lo renderebbero felice, io invece le rispondo che non cambierebbe niente.
Prova a chiamarmi, non provo neanche a rifiutare la chiamata, esco semplicemente da skype.]

Oggi quell'uomo ha cominciato il suo 44esimo anno. E io come sempre sono qua a domandarmi se abbia il diritto naturale di essere chiamato PADRE. 

Quando vado da lui, a Torino, lo vedo si e no, un paio di ore, non è mai a casa, è sempre al lavoro, sempre a fare soldi, ma lui non si dedica alla lettura, alla televisione, non ha un colore preferito, e neanche un piatto preferito, per lui si mangia di tutto, perchè in tempi di FAME, tutto fa tacere lo stomaco. Dice, non esplicitamente, che io sono viziata, che mangio solo quello che voglio, non sa niente di me, è così indifferente alla mia vita che quando gli ho detto scherzosamente che ero incinta, mi ha detto che avrebbe preso una capra, e avrebbe svezzato il pargolo. Come quando gli ho detto che vivevo con Giò, con la stessa indifferenza ha fatto un sorriso e mi ha detto "va bene".
A lui va bene, ma lui non è mio padre, lui è il padre di Alessia, lei ne ha davvero bisogno, io ho imparato a farne a meno troppo presto.


"Convivo coi miei incubi, ho imparato a farlo, ho cominciato a sognarlo la notte che me ne sono andata, l'ultima volta che l'ho chiamato "Papà", una realtà troppo distante".

Convivo con le scene di lui che picchia brutalmente mia madre, convivo con lui che bacia e chiama Amore , davanti ai miei occhi stanchi una donna che non è mia madre, senza il minimo ritegno.

Sono un'estranea anche nel suo mondo, perchè  mi dice che non mi capisce, e io mi chiedo cosa dovrebbe mai capire? Doveva pensarci prima, doveva pensare prima ai suoi errori, come d'altronde la mamma ai suoi.

La Mamma non me ne parla mai, e quelle poche volte che lo nomina, sento l'amaro in bocca, sento la bile salirle, è come se rivedesse tutta la vita vissuta assieme scorrerle davanti a quello sguardo. Vedo il viso stringersi, la fronte corrugarsi e sento la voce incrinarsi. La sento sul baratro tra il pianto e la liberazione, anche lei aveva dei sogni alla mia età, e forse ancora oggi ci spera di avere una famiglia, un uomo che l'abbracci la notte, o che la baci e la chiami amore quando torna a casa dal lavoro. Ma oggi la mamma non c'entra. Oggi è il giorno di lui, che è stato assente dalla mia vita per 13 anni. E ora mi chiedo se in 13 anni un uomo possa cambiare oppure rimanga lo stesso.

Alle volte lo guardo di sottecchi, lo scruto, dall'angolo del tavolo, è un uomo possente, una mano 2 volte la mia, alto, biondo, occhi verdi. Siamo uguali,  io e lui. Siamo due gocce d'acqua, ci dicono. Io lo osservo e ne ho paura, so chi è in realtà, so che non è l'uomo che finge di essere, perché i mostri si possono nascondere dentro di noi, ma non si possono eliminare.
Forse quando taglia la legna per scaldarsi e rimane solo, pensa ai suoi errori, magari ci riflette ogni tanto, anche se la sua è una testa in cui non vorrei entrare. Lui è tabù,  e come tale, va tenuto a distanza.

Passano tre giorni ed è ora di tornare a casa.
Non rimango mai più di tre giorni, non è giusto, il tre è il numero perfetto.
Già dal primo giorno Clotilde si impone come figura materna. Non è giusto perché, quella non è casa mia, è casa di Clotilde e di Alessia, casa mia è a Milano  da Giò.
Arrivo in stazione, conto i minuti, salgo sul treno. Respiro, cambio volto, sorrido, ora posso uscire e andare a bere una birra con LEI. Posso sfogarmi, posso creare un mondo che adoro, un mondo in cui nessuno può entrare, in cui solo noi due abbiamo la chiave.

Ma non posso cambiare le cose, oggi è il suo compleanno, e io non lo voglio chiamare. Anche se lo rendesse felice, anche se lui mi ha fatto 5 volte gli auguri in 18 anni, non se li merita, e in fondo già che può parlarmi, già che non gli riverso addosso tutto il mio veleno, devo solo essere per lui un grosso regalo.




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